Salute, il ddl del M5S: stop alla chirurgia estetica “a rischio”, fare ordine

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Rifarsi il naso è un conto, farsi prendere per il naso è un altro. Ma se nei confronti di truffatori e ciarlatani spesso basta, è il caso di dire, un po’ di fiuto adeguato, diversa è la percezione del rischio quando di fronte si hanno dei medici a tutti gli effetti, ma non adeguatamente preparati. E in tempi di corsa alle prestazioni low cost (in Italia o all’estero), la febbre da risparmio può, alla fine, costare assai cara. E così, a palazzo Madama, dove pure cambiare i connotati (politici) è operazione di routine, arriva un ddl, appena assegnato in commissione Sanità, per disciplinare l’esercizio della chirurgia estetica in Italia. La proposta, targata M5S, ha come prima firmataria Michela Montevecchi ed è stata assegnata in commissione Sanità appena giovedì scorso, anche se soggetta a possibili modifiche visto che sarà sottoposta a ‘Lex’ di Rousseau, la piattaforma con cui gli iscritti M5S concorrono alla formazione delle leggi. “Il disegno di legge -dice Montevecchi all’Adnkronos- intende fare ordine nel campo della cosiddetta chirurgia estetica intesa come disciplina medica che si occupa, mediante un insieme di tecniche chirurgiche, della ricostruzione e del ripristino dell’equilibrio psico-fisico dell’individuo che vive con disagio un inestetismo o quando l’intervento sia finalizzato al raggiungimento o al mantenimento di una funzionalità“. “Nel 2014 -ricorda la senatrice Montevecchi- sono stati effettuati oltre un milione di interventi di chirurgia e di medicina estetica. Il settore però non risulta adeguatamente ordinato. E una delle conseguenze più evidenti sono i casi di persone rimaste seriamente danneggiate nella salute a seguito di un intervento estetico fatto da mani inesperte o in luoghi non adeguatamente attrezzati“. Per valutare appieno la portata del fenomeno basta considerarne le dimensioni: l’Italia risulta il nono Paese al mondo che ricorre a ritocchini e interventi estetici più o meno complessi. Ebbene, il ddl in questione definisce la chirurgia estetica come la disciplina medica a se stante che si occupa, mediante un insieme di tecniche chirurgiche, “sia della costruzione o della ricostruzione dell’equilibrio psicofisico dell’individuo, che vive con disagio la propria vita per un inestetismo mal accettato, sia del raggiungimento e mantenimento della salute come espressione di benessere“. Il provvedimento non si inserisce in un assoluto vuoto normativo, dato che, per esempio, la legge n. 86 del 5 giugno 2012 ha fissato il divieto di protesi mammarie per minori, ma stabilisce i requisiti necessari per esercitare la chirurgia estetica. Ed eccoli i requisiti richiesti: la laurea in Medicina e chirurgia e la specializzazione in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica; laurea in Medicina e specialistica, limitatamente a chirurgia estetica che abbia riguardo l’organo e gli annessi di quell’organo di cui sono specialisti (dermatologia, ginecologia, oftalmologia, oro-maxillo-facciale ecc.); aver partecipato all’esecuzione di cinquanta interventi di chirurgia estetica di cui il 20 per cento come primo operatore e aver frequentato, da almeno un anno, master di specializzazione in chirurgia estetica, in scuole riconosciute dal Ministero della salute. Vi sono altre previsioni specifiche ma il tutto è finalizzato a limitare, progressivamente, la possibilità di effettuare interventi di chirurgia estetica da parte di persone che non abbiano competenza di chirurgia plastica ovvero non siano competenti in merito allo specifico distretto del corpo da loro trattato per motivi funzionali. L’art.3 riserva, salvo eccezioni, il trattamento solo a persone che abbiano raggiunto la maggiore età. Vengono poi fissate delle caratteristiche delle strutture abilitate a svolgere le operazioni, a seconda della durata della degenza che sono in grado di assicurare. E’ richiesto il “consenso informato, esplicito e attuale” e in forma scritta del paziente (con ammenda fino a 10mila euro per il medico inadempiente). Ogni intervento di chirugia estetica deve essere munito di cartella clinica. Inoltre, è prevista una norma tesa a semplificare la catena di responsabilità nel rapporto tra medico e struttura sanitaria: in pratica si esonera il medico esterno da responsabilità legate a prestazioni a lui estranee (come, ad esempio la verifica della sterilità della sala operatoria e la manutenzione delle apparecchiature utilizzate). D’altra parte, la struttura sanitaria, che si limita a fornire la sala operatoria nonché l’eventuale degenza post operatoria, non è in grado di verificare quanto avviene prodromicamente al trattamento sanitario proposto dal medico al di fuori della struttura, né di verificare quanto avviene in sede di visite di controllo dell’esito del trattamento sanitario, sempre effettuate al di fuori della struttura o di intervenire in corso d’effettuazione di trattamento imponendo la sua eventuale modifica per ricondurla a buone pratiche cliniche. In sostanza, si inverte quanto previsto dall’articolo 1228 del codice civile secondo cui “salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro“.

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