Agroalimentare: presto la prima varietà di amaranto realizzata in Italia

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Presto sarà possibile coltivare (e gustare) la prima varietà di amaranto realizzata in Italia. E’ uno dei risultati della sperimentazione condotta dall’Università di Firenze sulla possibilità di coltivazione in Toscana degli pseudocereali, specie che non appartengono alla famiglia delle Graminacee ma hanno caratteristiche simili se non superiori per tenore proteico, profilo degli aminoacidi e degli acidi grassi. I risultati della sperimentazione svolta nel 2016 su amaranto, quinoa, miglio e cece da industria saranno presentati domani, martedì 4 luglio, alle ore 9,30 in un incontro presso il Centro per il Collaudo e il Trasferimento dell’Innovazione di Cesa (via Cassia, 147 – Marciano della Chiana, Arezzo). I campi sperimentali sono allestiti dal Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente (Dispaa) dell’Ateneo fiorentino in collaborazione con Gestioni Agricole – Terre Regionali Toscane, il cui presidente Marco Locatelli aprirà l’incontro illustrando le attività sviluppate. Le relazioni saranno tenute da Gianluca Stefani e Ginevra Lombardi del Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa dell’Università di Firenze (Modelli organizzativi di filiera per la valorizzazione dei cereali), da Stefano Benedettelli del Dispaa (Prospettive della coltivazione delle diverse specie di miglio in Toscana) e dal coordinatore del gruppo di ricercatori Paolo Casini – docente di Agronomia e coltivazioni erbacee, sempre presso il Dispaa – che traccerà un quadro dei risultati della sperimentazione. “Per quanto riguarda l’amaranto – spiega Casini – siamo riusciti a costituire tre nuove varietà perfettamente adattabili all’ambiente dell’Italia Centrale, in grado di garantire una produzione di semi tra 1,5 e 2,2 tonnellate per ettaro. Anche sul versante della quinoa abbiamo individuato un paio di varietà, con produzioni intorno a 1,4 t per ettaro, quindi di sicuro interesse economico“. “Ma abbiamo rivolto il nostro interesse anche a coltivazioni non tradizionalmente andine – prosegue Casini – come il cece da industria, rivalutato di recente dall’agronomia e dalla produzione, e il miglio, prodotto quasi insostituibile per la sua tolleranza all’aridità“.

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