Farmaci, ISS: l’Italia modello in UE per il trattamento dell’epatite C sostenibile

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Uno studio condotto nell’ambito della Piattaforma italiana per lo studio delle terapie dell’epatite virale (Piter), coordinata dal Centro per la Salute globale dell’Istituto superiore di sanità in collaborazione con l’Associazione italiana per lo studio del fegato (Aisf), la Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e l’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Altems) consente di trattare tutti i pazienti con epatite C con i nuovi farmaci ad azione antivirale migliorandone lo stato di Salute e risultando sostenibile. Lo studio, che coinvolge circa 100 centri clinici distribuiti su tutto il territorio nazionale, è stato pubblicato oggi sulla rivista dell’associazione americana Hepatology. “L’Italia rappresenta una peculiarità per quanto riguarda l’infezione da virus dell’epatite C in quanto è uno dei Paesi con maggior prevalenza dell’infezione in Europa – afferma Walter Ricciardi, presidente dell’Iss – Per questo il nostro studio, che ha permesso di generalizzare i dati di costo beneficio a partire dai dati di pazienti arruolati nella coorte Piter senza discriminazioni socio-demografiche e di assistenza sanitaria, fa dell’Italia un modello per l’Europa e per il mondo”. “Un utile strumento per la messa a punto di strategie di ampliamento dell’accesso ai farmaci anti epatite C – prosegue Ricciardi – e, dunque, per raggiungere l’obiettivo dell’Oms di eliminare l’infezione da Hcv entro il 2030, con una strategia globale che prevede la riduzione del 65% delle morti correlate all’infezione da Hcv e il trattamento di almeno l’80% degli individui con epatite cronica da Hcv”. “Considerati questi target e le restrizioni all’uso dei farmaci ad azione antivirale in quasi in tutto il mondo a causa dei loro prezzi alti – afferma Stefano Vella, direttore del Centro per la Salute globale dell’Iss e presidente dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) – ci è sembrato di fondamentale importanza valutare quali sarebbero i benefici e i costi di un trattamento ‘universale’ di tutti i pazienti e non solo dei pazienti ‘prioritizzati’, ovvero con malattia avanzata del fegato. Ebbene, i risultati supportano da un punto di vista scientifico la recente politica annunciata e messa in atto dall’Aifa, quella cioè di trattare tutti i pazienti con infezione cronica da Hcv, proprio per gli importanti guadagni in termini di Salute e per la parallela riduzione nel tempo dei costi sostenuti dal Servizio sanitario nazionale”. I ricercatori hanno valutato il profilo di costo-efficacia della politica sanitaria ‘universale’ attraverso un approccio di proiezione modellistica in 8.125 pazienti della coorte Piter generalizzati per un contesto europeo, applicando la media europea dei prezzi dei farmaci anti-epatite C e del costo della malattia epatica da virus dell’epatite C. “Lo studio ha dimostrato che in entrambi i contesti (italiano ed europeo) il trattamento di tutti i pazienti con infezione cronica da Hcv, anche in stadi di malattia lieve, consente benefici superiori in termini di Salute, rispetto all’applicazione della politica di trattamento prioritizzato”, sottolinea Loreta Kondili, ricercatrice del Centro per la Salute globale dell’Isse responsabile scientifico di Piter. “I benefici proiettati negli anni dopo l’eliminazione del virus con la terapia antivirale sin nelle fasi precoci del danno del fegato – prosegue Kondili – sono stimati in casi evitati di pazienti con cirrosi del fegato e con tutte le conseguenti complicanze (scompenso della cirrosi, sviluppo di epatocarcinoma, bisogno di trapianto di fegato e morte a causa della malattia di fegato) nel miglioramento della qualità di vita dei pazienti guariti e nella riduzione dei costi sanitari delle cure in riferimento alle patologie Hcv correlate”. “E’ stato valutato – va avanti Kondili – il profilo costo-beneficio incrementale interpretabile come costo sostenuto per un anno di vita guadagnata in piena Salute applicando la politica ‘universale’ versus quella ‘prioritizzata’. Il rapporto varia tra 8,775 euro (per lo scenario italiano) a 19,541.75 euro (per lo scenario europeo) per ogni anno di vita in buona Salute guadagnata, entrambe stime nettamente inferiori rispetto alla soglia di 35 mila euro per Qaly sotto la quale un intervento sanitario è considerato un corretto investimento in Salute dall’Istituto di eccellenza clinica londinese”. “Lo studio valuta e conclude che, unitamente a un abbassamento progressivo dei prezzi dei farmaci antivirali, arrivando ad una soglia di circa 4 mila euro a regime terapeutico, trattare tutti i pazienti indipendentemente dallo stadio del danno del fegato risulta essere una politica lungimirante e determinante in quanto comporta maggiori benefici con minor costi per il sistema sanitario”, conclude Kondili.

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