Schizofrenia: vivere una vita piena è un obiettivo possibile, centrale il dialogo medico-paziente-caregiver sulle opportunità terapeutiche

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Una discussione più aperta sulle opzioni terapeutiche disponibili, che includa da subito il paziente con schizofrenia e il suo caregiver, permette di instaurare la terapia più appropriata e consente al paziente di vivere una vita piena.

È la principale evidenza che emerge dall’indagine paneuropea “Open Minds”, promossa da Janssen e condotta su 347 psichiatri in otto Paesi (Germania, Francia, UK, Spagna, Italia, Svezia, Ungheria e Turchia).

La maggior parte degli psichiatri (80%, che sale al 92% tra gli italiani), infatti, riferisce che il principale obiettivo è costruire un forte rapporto di fiducia con i propri assistiti e riuscire a portare il paziente a poter vivere una vita piena. Otto psichiatri italiani su dieci si dicono fiduciosi nelle terapie innovative che sarebbero in grado di assicurare una vita migliore ai pazienti; il 90% valuta l’aderenza alla terapia come la principale chiave del successo del trattamento della schizofrenia e l’88% considera la prevenzione delle ricadute essenziale.

Sette psichiatri su 10 considerano il caregiver un ‘facilitatore’ importante nella relazione medico-paziente, proprio per questo, circa la metà vorrebbe che questi ultimi avessero un ruolo più proattivo anche sui trattamenti, tematica che viene sollevata solo dal 43% dei caregiver.

Nella discussione sulla gamma di opzioni terapeutiche a disposizione, in grado di migliorare notevolmente la qualità di vita dei pazienti, la richiesta di assumere i LAI – Long Acting Injectables – di seconda generazione, avviene prevalentemente su richiesta e in situazioni specifiche, come in presenza di segni di scarsa aderenza o dopo episodi di ricadute. I LAI, infatti, sono farmaci iniettabili che vengono somministrati dal personale infermieristico e permettono intervalli di somministrazione più lunghi rispetto ai farmaci orali e grazie a essi il paziente non è più condizionato dall’assunzione giornaliera della terapia.

«La relazione medico-paziente ha un ruolo fondamentale nell’assistenza medica in generale, ma nel caso dei pazienti psichiatrici è ancora più importante costruire un rapporto di solida e completa fiducia tra le due figure», afferma Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale, ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano e Past President della Società Italiana di Psichiatria (SIP). «Nell’ambito della psichiatria in questo rapporto gioca un ruolo chiave anche il caregiver, il familiare che si prende cura del paziente nella vita di tutti i giorni. Un dialogo aperto con paziente e caregiver sulle opportunità terapeutiche a disposizione è fondamentale perché oggi ci sono delle terapie, come i LAI, che possono migliorare notevolmente la qualità di vita; è di fondamentale importanza perciò che i pazienti e i loro caregiver siano informati su tutto ciò che concerne queste terapie e che le informazioni siano loro esposte in un modo chiaro e completo, per permettere di valutare a 360° e consapevolmente la scelta terapeutica».

La schizofrenia è una patologia psichiatrica grave, potenzialmente devastante, non solo per il paziente ma anche per suoi i familiari e per chi gli è vicino. Caratterizzata da fasi iperacute che si alternano a fasi di relativa remissione dei sintomi, la schizofrenia colpisce in Italia almeno 250.000 persone ancora in età produttiva.

«Se non curati in modo adeguato, i pazienti con schizofrenia vivono in un incubo quasi costante perché la malattia accorcia la vita e ne compromette in modo gravissimo la qualità – dichiara Andrea Fagiolini, Professore ordinario di Psichiatria all’Università degli Studi di Siena – l’impatto sulla famiglia è ugualmente drammatico perché i pazienti mettono in atto tutta una serie di comportamenti che finiscono per compromettere anche la vita della famiglia. Per fortuna oggi abbiamo la possibilità di intervenire sui sintomi e di trattare globalmente le persone affette anche sotto il profilo relazionale-affettivo e sociale. Grazie all’avvento di farmaci in grado di controllare i sintomi e allo sviluppo di tecniche di riabilitazione, che sono complementari e non alternative ai farmaci, la qualità di vita di un paziente con schizofrenia adeguatamente trattato è nettamente migliorata. La disponibilità di farmaci che possono essere somministrati ogni 15 giorni, una volta al mese o addirittura una volta ogni tre mesi, permette di ottenere una migliore aderenza al trattamento farmacologico, evitando che i pazienti interrompano i farmaci proprio nei momenti in cui ne hanno più bisogno, ovvero quando sono meno in grado di autodeterminarsi. Con i nuovi farmaci e strategie di riabilitazione psicosociale, la schizofrenia resta una malattia grave e pesante, per chi ne è affetto, per la famiglia e la società, ma diventa però trattabile, migliorabile e associata a una vita meritevole di essere vissuta».

Le terapie per il trattamento del paziente affetto da schizofrenia hanno subito una forte evoluzione, in particolare nell’ultimo decennio, con l’avvento dei nuovi LAI.

«Il primo vantaggio è la stabilità sottolinea Giuseppe Maina, Direttore di Struttura Complessa di Psichiatria presso l’Azienda Ospedaliera-Universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano – che offre al paziente di ridurre le oscillazioni dei sintomi e le eventuali ricadute. Il secondo vantaggio, non di poco conto, è la libertà, sia per il paziente sia per il caregiver. Il paziente è più libero dal ricordare di dover assumere la terapia 365 giorni all’anno contro le 4 volte di quella trimestrale. Il caregiver viene sollevato dalla responsabilità di dover continuamente controllare e verificare che il suo caro l’abbia assunta. Questo consente tra i due un rapporto più sereno e rilassato. Il terzo vantaggio è la normalità: una terapia come questa permette di riportare il paziente ad una maggiore normalità anche dal punto di vista dello stigma. È molto meno stigmatizzato un paziente quando, in mezzo agli altri, non deve ricordarsi di prendere la pillola tutti i giorni o tre volte al giorno».

Intervenire precocemente e con terapie che riducono i sintomi e riportano il paziente ad una vita piena è l’obiettivo oggi raggiungibile attraverso un approccio integrato alle cure farmacologiche cui devono associarsi la riabilitazione e il reinserimento sociale. Motivazioni che sono la ragion d’essere del progetto TRIATHLON, promosso da Janssen, azienda impegnata nella salute mentale e nella cura delle patologie psicotiche, in partnership con Società Italiana di Psichiatria (SIP), Società Italiana di Psichiatria Biologica (SIPB), Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia (SINPF), Fondazione progetto ITACA Onlus, ONDA (Osservatorio Nazionale sulla salute della donna) e Federazione Italiana Triathlon (FITRI). I numeri di questo progetto di ampio respiro parlano chiaro: nel bienno 2016-2017 sono 37 i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) che hanno partecipato fino ad oggi, il 18% del totale, ovvero un DSM su cinque viene toccato dal progetto; oltre 4.000 operatori sanitari coinvolti, dei quali 1.200 medici. Circa 2.000 i pazienti che hanno partecipato fino ad oggi. Il progetto culminerà a maggio 2018 con il primo campionato di Triathlon a squadre della salute mentale, con eventi dedicati alle tre specialità (nuoto, corsa, ciclismo) che compongono tale sport.

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