“Valtellina: 30 anni dopo”, geologo: “I disastri idrogeologici imputabili alla gestione sbagliata del territorio e all’azione antropica degli ultimi 50 anni”

MeteoWeb

Nell’ultimo cinquantennio si è assistito alla crescita incontrollata dei centri abitati e delle periferie metropolitane, avvenuta troppo in fretta e con poca attenzione alle conseguenze dell’azione antropica sul territorio. Il conto sempre più consistente, in termini di perdita di vite umane e danni al patrimonio edilizio e infrastrutturale, è sempre di più riconducibile a questo”. È il grido di allarme che arriva dal Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, Francesco Peduto, in occasione del Convegno “Valtellina 30 anni dopo: cultura, normativa e politica del territorio quali cambiamenti?” tenutosi il 22 settembre 2017 nell’Auditorium S. Antonio di Morbegno.

L’incontro, organizzato dal Consiglio Nazionale dei Geologi, in collaborazione con l’Ordine dei Geologi della Regione Lombardia e con la Fondazione Centro Studi del CNG, vuole non soltanto ricordare le vittime dell’alluvione, ma anche ripercorrere l’evoluzione tecnica e normativa che si è raggiunta trent’anni dopo il disastro idrogeologico nonché trarre spunti di riflessione utili per il futuro. Trent’anni fa, nel mese di luglio, l’intera valle alpina venne colpita dal disastro: la grande alluvione del 1987. Le frane e le esondazioni provocarono 53 morti, migliaia di sfollati, la distruzione di interi centri abitati, di strade, ponti e danni ingenti per un totale di circa 4000 miliardi di lire.

Siamo il Paese – denuncia il Presidente del CNG – dove ogni anno si perdono circa 500 kmq di superficie naturale o agricola trasformati in cemento, edifici e nuove infrastrutture, dove assistiamo al progressivo abbandono di vaste aree agricole (secondo l’Istat circa 300 mila ettari di superficie agricola utilizzata in dieci anni), e dove da qualche decennio non si fanno più regolari interventi di manutenzione”. “Tutto ciò – prosegue – ha degradato il territorio, rendendolo sempre più esposto e vulnerabile e in questo quadro si inseriscono i cambiamenti climatici, che determinano eventi piovosi estremi, che scaricano al suolo centinaia di millimetri di pioggia in meno di un giorno. Ma se le violente precipitazioni spesso sono la causa scatenante di frane e alluvioni, i disastri che ne derivano sono imputabili a decenni di gestione sbagliata del territorio e delle aree considerate ad elevato rischio idraulico ed idrogeologico” denuncia Peduto.

Il Presidente del CNG dà qualche dato: il primato delle frane lo detiene il nostro Paese. Infatti, secondo l’ultimo rapporto dell’ISPRA, oltre il 70% di tutte le frane del continente europeo – circa 530 mila – si verificano in Italia; dal dopoguerra ad oggi il danno stimato, causato da eventi alluvionali o franosi, supera ormai i 60 miliardi di euro. Inoltre, in base ai dati OCSE, dal 1963 al 2012, ben 782 comuni italiani hanno subito inondazioni e frane con conseguenti ingenti danni se non vittime e la mancata prevenzione costa all’Italia in media lo 0,2% del PIL annuo.

Le cause del dissesto idrogeologico nel nostro Paese – afferma Peduto – sono: i cambiamenti climatici, la sconsiderata gestione del territorio, la mancanza di un’efficace politica di prevenzione e di convivenza con il rischio che non fanno altro che amplificare la potenza degli eventi e dei conseguenti danni”. “Per questo ripetiamo da anni che, in ragione dello stato di dissesto del Paese, è fondamentale affiancare agli interventi strutturali, una serie di misure ed azioni ‘non strutturali’, quali i monitoraggi e i presidi satellitari, strumentali e tecnico-specialistici, se davvero vogliamo conseguire gli obiettivi di salvaguardia e tutela del territorio. Ricordiamo – continua – che ancora tanti comuni, o sono addirittura privi di Piani di Protezione civile comunali (PPCC) o li hanno solo sulla carta, piani virtuali che puntualmente si rilevano del tutto inefficaci in caso di evento, privi di scenari di pericolosità e senza i piani di emergenza per la salvaguardia dell’incolumità delle persone nelle aree a maggior rischio”. “Quello che chiediamo alle forze politiche – conclude il Presidente del CNG –, considerato che siamo alla fine della legislatura, è di prendere impegni concreti sui temi della difesa del suolo, di investire su normative efficaci e su un piano di manutenzione e di risanamento idrogeologico, anche attraverso l’adozione di opportune e necessarie misure ‘non strutturali’, a partire dai presidi territoriali. La messa in sicurezza dei territori, anche attraverso la realizzazione di opportune misure di ‘prevenzione civile’ non è più derogabile, credo che il Paese abbia già versato un tributo elevatissimo in termini di perdita di vite umane, di distruzioni e di degrado del territorio, che impone una forte responsabilizzazione collettiva e risposte più mature e concrete dalla classe politica“.

Cos’è cambiato 30 anni dopo l’alluvione in Lombardia? A rispondere alla domanda è Gaetano Butticé, Presidente dell’Ordine dei Geologi della Regione Lombardia. “Nonostante siano stati fatti passi avanti in questi trent’anni – denuncia Butticé -, per raggiungere l’obiettivo di una soddisfacente prevenzione del rischio idrogeologico mancano ancora parecchi tasselli: manca la diffusione sul territorio di un’adeguata cultura geologica – prosegue il geologo, – mancano le competenze tecniche negli Enti locali, manca una strategia coordinata della prevenzione, mancano i controlli sull’applicazione delle norme di governo del territorio e, purtroppo, in qualche caso manca proprio la volontà di rispettare le regole“.

Condividi