Una delle proprietà che caratterizza i buchi neri è la loro intensa forza di attrazione gravitazionale. Nulla, entro la distanza delimitata dal loro orizzonte degli eventi, sfugge loro, nemmeno la luce. Se in fatto di gravità i buchi neri sono i primi della classe, lo stesso sembra non si possa dire sui campi magnetici che si vengono a creare intorno ad essi. Uno studio pubblicato nell’ultimo numero della rivista Science mostra che questi oggetti celesti hanno un campo magnetico decisamente inferiore a quanto finora atteso. Il lavoro, guidato da ricercatori dell’Università della Florida e al quale hanno partecipato Piergiorgio Casella e Matteo Bachetti dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), presenta i risultati della mappa magnetica dei dintorni del buco nero nel sistema binario V404 Cygni, che indicano valori dell’intensità del campo magnetico fino a quattrocento volte inferiore a quelli attesi.
V404 Cygni si trova a circa 7.800 anni luce dalla Terra in direzione della costellazione del Cigno. La sua caratteristica più particolare è che emette lampi di luce improvvisi e intensi, e questi picchi di attività corrispondono a fasi durante le quali attira a sé e inghiotte materiale dalla propria compagna. Il buco nero in V404 Cygni ha una massa di circa dieci volte quella del Sole ed è legato gravitazionalmente ad una stella “normale”, simile al nostro Sole, da cui sta risucchiando parte del materiale di cui è costituita. Nel suo viaggio verso il buco nero, questa materia cade con un moto spiraleggiante formando attorno ad esso quello che prende il nome di disco di accrescimento, delle dimensioni dell’ordine di diverse migliaia di km. In questo precipitare, la materia si surriscalda e nella corona calda che si forma nella vicinanze del buco nero essa può raggiungere temperature fino a centinaia di milioni di gradi, emettendo radiazione di alta energia, sotto forma di raggi X e gamma. Il materiale viene quindi in parte espulso attraverso due getti che si allontanano in direzioni opposte con velocità prossime a quella della luce.
“L’utilizzo di strumenti di ultima generazione, e di tecniche di analisi molto sofisticate, ci ha permesso di osservare fenomeni fisici che avvengono vicinissimi ad un buco nero, con un livello di dettaglio mai raggiunto prima” spiega Casella, in forza all’Osservatorio Astronomico di Roma dell’INAF. “Il buco nero ha “sparato” degli elettroni energetici, che immersi in un campo magnetico hanno emesso radiazione a tutte le lunghezza d’onda, perdendo così energia e raffreddandosi. Noi abbiamo seguito questi elettroni, osservando il loro rapido raffreddamento e misurando quindi il campo magnetico vicino al buco nero. È un risultato senza precedenti, che apre la strada ad una comprensione maggiore di ciò che avviene attorno a questi oggetti misteriosi.“
Gli autori dello studio hanno ricavato le misurazioni del campo magnetico di V404 Cygni dai dati raccolti nel 2015 durante una violenta esplosione di energia legata all’emissione di getti dal buco nero. L’evento è stato osservato simultaneamente a molte lunghezze d’onda, utilizzando il satellite NuSTAR della NASA nella banda dei raggi X, il William Herschel Telescope (WHT) nella banda della luce visibile, l’Arcminute Microkelvin Imager (AMI) nelle onde radio e il Gran Telescopio Canarias (GTC) – il più grande telescopio ottico-infrarosso al mondo, situato al Roque de los Muchachos nelle Isole Canarie – nell’infrarosso.
“Questa sorgente si è rivelata una miniera d’oro” commenta Bachetti, ricercatore dell’Osservatorio Astronomico di Cagliari dell’INAF. “La sua altissima luminosità ha permesso in pochissimo tempo di far avanzare in maniera sostanziale la nostra conoscenza di come si comporta la materia che gira intorno ai buchi neri, dandoci nuovi elementi per capire come mai parte di questa materia viene lanciata via ad altissima velocità invece di caderci dentro“.
Lo studio viene pubblicato nell’ultimo numero della rivista Science nell’articolo A precise measurement of the magnetic field in the corona of the black hole binary V404 Cygni di Yigit Dallilar, Stephen S. Eikenberry et al.