Grande attenzione (e critiche) ha suscitato nei giorni scorsi l’albero di Natale al centro di Piazza Venezia a Roma, a cui il web ha assegnato l’appellativo “Spelacchio“: in merito si è espressa anche Pefc Italia, l’associazione senza fini di lucro che costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di certificazione Pefc (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), cioè il Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale. “L’albero presenta oggettivamente dei traumi, tuttavia è necessario fare chiarezza su alcuni elementi e caratteristiche della pianta, per evitare di semplificare un tema delicato come quello della cura degli alberi e della gestione sostenibile delle foreste di provenienza“, ha spiegato Antonio Brunori, segretario generale Pefc Italia.
Brunori ha voluto fare alcune precisazioni, ad esempio sui social si dice spesso che “Spelacchio ha pochi aghi perché è un larice e quindi perde le foglie d’inverno“: ma ciò è falso, secondo l’esperto, in quanto si tratta infatti di un abete rosso (Picea abies), specie alpina sempreverde, i cui aghi non cadono durante i mesi più freddi. Inoltre, secondo Pefc Italia la diceria secondo cui “tagliare gli alberi non è sostenibile. Sarebbe più ecologico un albero di plastica“, è falsa in quanto gli alberi di plastica derivano dal petrolio e devono poi essere smaltiti come rifiuti speciali. Gli abeti “finti” sono erroneamente considerati i migliori per tutelare il nostro patrimonio boschivo ma in realtà, secondo uno studio di Coldiretti, i cinque milioni di alberi finti che vengono in media acquistati ogni anno emettono gli stessi gas di sei milioni di chilometri percorsi in macchina.
Perché Spelacchio si è guadagnato il nomignolo? Oltre a una possibile rovina dovuta al trasporto forse incauto, è probabile che la pianta fosse stressata per la siccità che da 12 mesi ha colpito tutta l’Italia con piovosità ridotta al 50%: “La serie di notizie errate o superficiali provenienti anche dal mondo accademico, che hanno sommerso Spelacchio sono la testimonianza, ancora una volta, della necessità di affidare la gestione delle foreste e delle alberature solo a chi sia veramente esperto in materia – dichiara Antonio Brunori – Il fatto che la pianta ormai susciti simpatia ai romani, non rende la situazione più leggera e dovrebbe far riflettere anche sul nostro rapporto con la natura. Siamo ormai troppo abituati a vedere perfezione nei negozi e sui social network, da non renderci conto che la natura è spesso imperfetta e che va protetta e difesa, dalla cura nel trasporto di un abete alla lotta ai cambiamenti climatici“.