Trema la Calabria seminando paura nello Stretto di Messina, interessato, nella notte scorsa da una scossa di terremoto percepita nelle province di Reggio Calabria e Messina. La scossa, di magnitudo 3.7, ha avuto un epicentro a 2 km nord da Sant’Alessio in Aspromonte (RC) ed ipocentro ad una profondità di 19 km.
Non è stata l’unica scossa che ha interessato lo Stretto nella notte, ma di certo è stata la più forte, percepita da quasi tutta la popolazione. Ad essa ne è seguita una, minore (M1.7) in Calabria, mentre altre 6 erano state registrate un’ora prima in Sicilia (1.2 < M < 2.3). Oltre ad osservare l‘impatto, pericolosità e sismicità della scossa attraverso i dati INGV è importante capire se si tratta di sciame sismico o meno.
La zona dello Stretto è nota per la sua elevata sismicità, pertanto è fondamentale fare delle valutazioni il più possible oggettive. Uno dei termini più diffusi e spesso ingiustamente utilizzati è proprio quello di sciame sismico. Ma quando si può parlare realmente di sciame sismico? Lo spiegano gli esperti INGV attraverso il portale Almanacco della Scienza, a cura del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
“Lo sciame sismico è caratterizzato da terremoti generalmente di lieve e media intensità che si sviluppano in una determinata zona e in un arco di tempo variabile, senza che un terremoto di magnitudo più forte abbia dato inizio all’attività”, spiega Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). “Le scosse possono durare anche diversi mesi, senza poter definire con certezza la durata e gli intervalli di tempo tra un evento sismico e l’altro”.
“Il termine ‘sciame’ viene comunemente usato per indicare un folto gruppo di insetti, in particolare di api, o più generalmente una moltitudine di animali, individui o cose che si muovono insieme. In ambito sismologico, rappresenta per analogia un addensamento spazio-temporale di terremoti”, prosegue Amato.
Ma a cosa è dovuto uno sciame sismico? “Le cause sono da ricondurre alle caratteristiche geologiche dell’area in cui si manifesta”, avverte Messina. “Nelle aree vulcaniche le scosse sono generalmente da ricollegare alla risalita di magma verso la superficie. Nelle zone sismiche di catena, come quella alpina o appenninica, invece, nell’assetto geologico e strutturale del sottosuolo. Le modalità di rilascio dell’energia che avviene all’ipocentro, generalmente tra 8 e 15 chilometri di profondità nelle zone sismiche italiane, sono poi differenti nel caso di terremoti distruttivi (rilascio istantaneo) mentre nel caso degli sciami il rilascio avviene gradualmente nel tempo”.
L’Italia ha una lunga storia di sciami sismici. “Da ricordare quelli della zona della Garfagnana-Lunigiana che hanno prodotto una scossa di magnitudo massima di 4,8 nel periodo 2013-2014 e quelli legati a fenomeni vulcanici nella zona dell’Etna, del Vesuvio e dei Campi Flegrei”, conclude Messina.