Anisakidosi: una pericolosa parassitosi che colpisce il pesce crudo

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Mangiare pesce crudo non è mai stato così di moda nel nostro paese. Il sushi, in particolare, è ormai un piatto comune grazie alla formula ”All You Can Eat” che offre la possibilità di mangiare ciò che si vuole ad un prezzo prefissato. Ma proprio il sushi è finito nell’occhio del ciclone per il rischio anisakidosi, altrimenti nota come “malattia del verme delle aringhe”, una parassitosi che può colpire l’uomo, causata da vermi tondi (nematodi), appartenenti alla famiglia degli Anisakidae, composta da quattro generi: Anisakis, Pseudoteranova, Contracaecum e Hysterothylacium. I prodotti ittici dei mari italiani più frequentemente parassitati sono: sardine, aringhe, acciughe, sgombri, gadidi, sparidi, lophidi, pesci S. Pietro, pesci sciabola (quasi sempre infestati), totani, calamari.Il rischio è legato al consumo dei prodotti ittici crudi, marinati o affumicati a freddo, sushi e sashimi, ultime tendenze provenienti dall’Oriente, semiconserve domestiche a base di pesce azzurro. L’uomo può comportarsi da ospite accidentale contraendo l’infezione cibandosi degli ospiti intermedi naturali (pesci e cefalopodi: come acciughe, sardine, sgombri, totani e calamari).

Tra i sintomi: dolori epigastrici molto intensi, nausea, vomito, diarrea e rialzo febbrile. Nei casi più estremi (ma molto più rari) possono sfociare in occlusioni, perforazioni intestinali e peritonite. La diagnosi di sospetto di Anisakidosi si basa sull’osservazione dei sintomi e sul riscontro dell’ingestione di prodotti ittici a rischio. La diagnosi di certezza è molto difficoltosa e può essere emessa solo previa identificazione del verme nei tessuti prelevati durante biopsie o endoscopie. Non esistono, infatti, test sierologiciaffidabili. Per quanto concerne invece le forme allergiche si possono utilizzare alcune prove di laboratorio e loskin test che consente di vedere la reazione del paziente dopo contatto con gli antigeni del parassita. Risulta infine fondamentale riscontrare l’eventuale esposizione pregressa del paziente, alle larve degli anisakidi.

L’eliminazione del parassita avviene solitamente in modo del tutto naturale. In caso di annidamento, però, può essere necessario anche un intervento chirurgico per la rimozione. In alcuni casi, il parassita può essere rimosso anche con semplici pinze da biopsia attraverso una gastroscopia o una colonscopia. Può essere efficace anche un trattamento con il solo antiparassitario albendazolo. La prevenzione resta lo strumento più efficace per evitare l’Anisakidosi . Il congelamento prevede il trattamento dei prodotti ittici ad una temperatura di -20 °C per 24 ore al cuore del prodotto. Trattamenti analoghi, ma con rapporti tempo/temperatura differenti sono quelli a -15 °C per 96 ore e a -35 °C per 15 ore. Quanto alla cottura, diversi studi hanno dimostrato che, sottoponendo il prodotto ittico a temperature superiori a 60 °C per almeno 1 minuto, viene garantita l’eliminazione del rischio.

Il trattamento di affumicatura può essere effettuato a caldo o a freddo. . Il trattamento a caldo con temperature di circa 70/80 °C per 3/8 ore, è in grado di assicurare la morte delle larve di Anisakis. Invece l’affumicatura a freddo con temperature di circa 20/25 °C per tempi che vanno da molte ore ad alcuni giorni, risulta insufficiente a devitalizzare le larve. La conservazione sotto sale è un ottimo metodo per bonificare il pesce dalle larve di Anisakis, ma è necessario rispettare due regole fondamentali: utilizzare una concentrazione di sale dell’8/9% e consumare il prodotto solo dopo sei settimane dalla preparazione.

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