La ‘comunicazione aumentativa alternativa‘ (Caa) è una sorta di ‘superlinguaggio‘ che consente a chi, per vari motivi, è impossibilitato, a parlare e comunicare con la realtà circostante. Si tratta di una condizione patologica che riguarda l’1,3% della popolazione, quindi circa 800 mila persone in Italia.
La Caa può aiutare bambini e adulti che hanno una disabilità congenita (ad es. paralisi cerebrale, disabilità intellettiva, disturbo dello spettro autistico) oppure una disabilità acquisita (es. ictus, trauma cranico) oppure un disturbo degenerativo (ad esempio, malattie del motoneurone, morbo di Parkinson) o una difficoltà temporanea (es. sindrome di Guillain- Barré). Chiunque abbia una disabilità che colpisce gravemente la comunicazione, non solo nella produzione ma anche nella comprensione, è candidato alla Caa.
Alla Caa è dedicata la Giornata europea della logopedia 2018 che la Federazione logopedisti italiani celebra il 6 marzo insieme ai colleghi europei del Comité Permanent de Liaison des Orthophonistes-Logopèdes de la Ue (Cplol).
“A volte non è possibile comunicare verbalmente e vengono quindi usate forme di comunicazione aumentativa alternativa, ovvero l’insieme di modalità, strategie e oggi straordinarie tecnologie che possono migliorare la capacità di comunicare di una persona. La Caa si può tranquillamente definire ‘superlinguaggio’ ed è un mondo variegato e complesso che comprende l’uso di tabelle di immagini, tabelle di lettere, gesti, oggetti, dispositivi ad uscita vocale, a volte in modo multimodale. Ad esempio, si possono usare i residui vocali del soggetto rinforzandoli con l’uso di immagini simboliche,” spiega Tiziana Rossetto, logopedista e presidente della Federazione logopedisti italiani. Il ventaglio di opportunità “va dalla lingua dei segni alle tecnologie assistive, dalla chiusura delle palpebre all’uso di simboli come i Wls (Widgit Literacy Symbols), simboli realizzati con grafica essenziale per esprimere un singolo concetto, o come il sistema Pecs (Picture Exchange Communication System), che entra a far parte delle strategie utilizzate nell’ambito dell’autismo quale sistema di comunicazione tramite scambio per immagini per una comunicazione funzionale. Oggi grazie alla tecnologia e al web 3.0, per gli operatori è possibile coinvolgere ed aiutare maggiormente soprattutto le giovani generazioni“.
“Qualunque siano le sue abilità o capacità, ogni persona deve essere messa in grado di comunicare. Ricordando che gli interventi di Caa non ritardano l’acquisizione del linguaggio parlato, anzi, esistono evidenze che possono semmai facilitare lo sviluppo del linguaggio per alcune patologie particolarmente complesse, come nel caso, ad esempio, dell’autismo. Possiamo quindi vedere un bambino affetto da sindrome genetica con grave malformazione cranio-facciale, che non ha potuto imparare a parlare e che invece comunica usando specifici software o anche una semplice tabella di simboli colorati che lui può indicare per esprimere le sue richieste. Oppure ancora un paziente adulto con grave afasia che comunica selezionando dal tablet dei messaggi pre-registrati. O, infine, un paziente che ha subito un esteso intervento chirurgico demolitivo testa-collo che digita frasi su un dispositivo che le tramuta in messaggi vocali. A volte la Caa viene usata solo per un periodo di tempo e poi non è più necessaria, oppure si utilizza ‘su misura’ seguendo l’evoluzione del paziente“.