Gli Ebrei dicono “Pesach zeman charutenu”, che si traduce come “Pasqua tempo della nostra liberazione”, celebrando, con tale festività, la fuga degli Ebrei dall’Egitto e la fine della loro schiavitù. La Pasqua ebraica, che dura 8 giorni, 7 in Israele, è la festa centrale del loro ciclo liturgico, raccontata nei capitoli 12-13 e 14 dell’Esodo, che parla, soprattutto, della notte della traversata del mar Rosso, sotto la guida di Mosè, verso la Terra Promessa, in cui il Signore forma il popolo d’Israele. Proprio in questa notte, infatti, nasce l’identità di popolo e, durante questo pellegrinaggio verso Canaan, gli Ebrei riceveranno il dono per eccellenza, la Torah, il Pentateuco, sigillo del patto stipulato col Signore: accogliendola, Israele sarà completamente libero di poter servire il suo Dio nella Terra ricevuta in dono. Il termine Pasqua, più esattamente, deriva dall’ebraico Pesach, col significato di “passare oltre”e trae origine da una vicenda riportata nel capitolo 12 dell’Esodo. Mosè ordinò al popolo ebraico, prima di abbandonare l’Egitto, che ogni famiglia immolasse un capo di bestiame piccolo ( agnello, pecora o capra) senza difetto, di un anno di età, e che bagnasse col suo sangue gli stipiti e il frontone delle porte delle case.
I membri delle famiglie dovevano consumare il pasto in piedi, con il bastone in mano, pronti per la partenza, che sarebbe avvenuta in quella stessa notte, dopo che l’angelo di Dio fosse passato per uccidere tutti i primogeniti egiziani, risparmiando i primogeniti ebrei le cui abitazioni erano segnate col sangue. Gli Egiziani fecero pressione affinché gli Ebrei partissero al più presto, e questi dovettero portare con loro la pasta per il pane non ancora lievitata, ossia il pane azzimo. Così, come Dio vegliò tutta la notte per porre in salvo il suo popolo, questo veglierà nella notte di Pasqua.