Un team di fisici e paleontologi delle Università di Perugia, Sapienza di Roma e Verona e dell’European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble, coordinato dal Dottor Marco Cherin del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Ateneo di Perugia, ha finalmente dato un’identità al cranio di felide scoperto in Toscana nella prima metà del secolo scorso e rimasto a lungo un mistero per i paleontologi.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Scientific Reports, ha impiegato sofisticate indagini al sincrotrone, rivelando come il fossile appartenga ad una rara specie di ghepardo gigante vissuta oltre un milione e mezzo di anni fa.
Il cranio fossile è stato per la prima volta scansionato con un particolare acceleratore di particelle in grado di generare raggi X a elevata potenza, la cosiddetta radiazione di sincrotrone. Grazie a questa tomografia ad altissima risoluzione – di gran lunga maggiore di quella disponibile con gli strumenti per TAC ospedaliere – i ricercatori sono riusciti per la prima volta a “liberare” virtualmente il cranio dalla sua “gabbia” di roccia. Le immagini 3D ad alta risoluzione hanno rivelato caratteristiche anatomiche prima nascoste, tra cui le suture tra le ossa del palato e la morfologia completa dei denti: alcuni degli elementi, questi, che hanno consentito di riferire il cranio alla specie Acinonyx pardinensis, il ghepardo gigante del Plio-Pleistocene.
L’identità di molte creature del passato viene spesso celata dalle rocce che per milioni di anni la conservano e racchiudono come fossili. Capita a volte che, dopo il ritrovamento, sia la stessa roccia a ostacolare o addirittura a impedire lo studio dei reperti da parte dei paleontologi. Questo è quanto accaduto al cranio oggetto dello studio, scoperto nella prima metà del ‘900 in una cava del Monte Argentario in Toscana.
Il reperto oggetto dello studio è in buona parte racchiuso in un blocco di roccia rossastra molto compatta, impossibile da rimuovere senza danneggiare il fossile stesso, che impedisce l’osservazione dei dettagli anatomici utili per la determinazione tassonomica. Per questo la classificazione del fossile non era finora stata facile, tanto che negli anni era stato attribuito dagli studiosi a specie differenti.
Grazie alla ricerca coordinata dal Dottor Cherin, il cranio del Monte Argentario è stato ora analizzato con le più sofisticate e potenti tecniche tomografiche ad oggi disponibili, già applicate su ominidi e dinosauri, ma mai prima d’ora su un mammifero carnivoro, evidenziando chiaramente che il grande A. pardinensis era in possesso di una combinazione peculiare di caratteri morfologici intermedi tra quelli del ghepardo attuale – cranio relativamente arrotondato, muso corto, denti premolari e molari con cuspidi alte e appuntite – e quelli delle pantere, come il giaguaro e il leopardo.
L’articolo è pubblicato all’indirizzo: www.nature.com/articles/s41598-018-26698-6