Demenza frontotemporale: una nuova tecnica di risonanza magnetica ne “legge” le forme genetiche

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L’utilizzo di scale visive morfometriche in Risonanza Magnetica (RM) consente di identificare le diverse mutazioni genetiche all’origine della demenza cerebrale frontotemporale.

A dimostrarlo lo studio di Unità delle Malattie Neurodegenerative, Centro Dino Ferrari, dipartimento di Fisiopatologia medico-chirurgica e dei trapianti dell’Università Statale di Milano e IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, guidato da Elio Scarpini, docente di Neurologia, e pubblicato sulla rivista Alzheimer Research and Therapy.

La demenza frontotemporale è, dopo l’Alzheimer, la seconda causa di decadimento cognitivo prima dei 65 anni ed è caratterizzata da disturbi psico-comportamentali – disinibizione, alterazioni della condotta sociale, aggressività – e, in circa il 20% dei casi, dipende da una mutazione genetica.

Lo studio appena pubblicato è stato svolto nell’ambito del GENFI (GENetic Frontotemporal dementia Iniziative), progetto multicentrico internazionale, che coinvolge il gruppo del professor Scarpini e diversi centri in Europa e Canada, per studiare soggetti con mutazione in uno dei tre geni principali – progranulinaMAPT e C9ORF72 –  ma che non abbiano ancora sviluppato la malattia.

Le risonanze magnetiche sono state analizzate utilizzando un protocollo di sei scale di valutazione visiva che identificano l’atrofia in regioni chiave del cervello (orbitofrontale, cingoli anteriori, frontiere, lobi temporali anteriori e mediali e aree posteriori corticali).

In particolare, utilizzando le risonanze magnetiche dei 343 soggetti ed assegnando un punteggio a specifiche aree, il gruppo coordinato da Giorgio Fumagalli, ricercatore al Centro Dino Ferrari, è riuscito a dimostrare un profilo tipico di atrofia cerebrale per ogni mutazione: asimmetrico per progranulina, simmetrico principalmente ai lobi temporali per MAPT e diffuso per C9orf72.

Sempre grazie alle immagini di risonanza magnetica, i ricercatori hanno, inoltre, identificato un ampliamento dei solchi cerebrali nelle zone dei lobi temporali mesiali in soggetti con mutazione di MAPT, prima che questi avessero sviluppato i sintomi della demenza.

Il dato radiologico rappresenta quindi l’unico marcatore pre-clinico di questi casi genetici di demenza frontotemporale. “Le scale di valutazione utilizzate – ha commentato Giorgio Fumagalli – sono semplici da usare e riproducibili, possono quindi essere strumenti utili nel contesto clinico per la discriminazione di diverse mutazioni della demenza frontotemporale e, nel caso di mutazioni del gene MAPT, possono anche aiutare a identificare atrofie prima dell’insorgenza”.

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