Il massacro di Yulin: oltre diecimila cani trucidati nelle maniere più crudeli e nell’indifferenza dei politici

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Il solstizio d’estate che cade il 21 giugno è una giornata di lutto non soltanto per tutti gli animalisti del mondo ma per chiunque sia una persona civile e dotata di un briciolo di sensibilità. A Yulin, città-prefettura della regione autonoma di Guangxi, nella Repubblica popolare cinese, infatti si compie ogni anno un massacro di proporzioni gigantesche che gli organizzatori chiamano con indicibile sfrontatezza Festival della carne di cane, come se si trattasse di un evento allegro e divertente mentre si tratta di una pratica anacronistica e crudele. Parliamo di oltre 10.000 cani destinati al consumo dei partecipanti, molti dei quali catturati per strada o rapiti dalle loro case che, dopo giorni di terrore trascorsi ammassati uno sull’altro in gabbie piccolissime con i musi spesso legati con la corda per evitare che la “merce si sciupi”, vengono trucidati nelle maniere più crudeli: bolliti vivi, scuoiati mentre ancora respirano, picchiati a morte per renderne la carne più morbida e per procurar loro scariche di adrenalina che, secondo barbare credenze, servirebbe a potenziare l’energia sessuale di chi la consuma.

Purtroppo c’è da aggiungere che la “sagra” di Yulin è solamente la punta dell’iceberg di una “tradizione” diffusa in molti Paesi dell’estremo oriente, dalle due Coree alle Filippine, dalla Thailandia al Vietnam anche se in alcune di queste nazione ufficialmente sarebbe vietata. Ma l’aspetto più inquietante del consumo alimentare di cani e di gatti che per noi sono veri e propri compagni di vita è l’assordante silenzio dei governi di tutto il pianeta nei confronti di questo scempio.

Mentre ai quattro angoli della terra i cittadini manifestano indignazione, dolore, disperazione per i tormenti inflitti a questi esseri indifesi, presidenti, premier, politici, capitani d’industria, organizzatori di grandi eventi sportivi non solo tacciono come se queste mattanze non esistessero ma sembrano infastiditi dalle proteste della gente che potrebbero incrinare i rapporti diplomatico-affaristici con Paesi che stanno diventando le più grandi potenze economiche del mondo.
Dal canto nostro però possiamo contribuire a diffondere la consapevolezza di quanto avviene e sostenere, solidarizzando con chi vive in quei territori e si batte affinché governi come quello cinese, oltre che dell’arricchimento finanziario, si occupi della crescita culturale dei propri abitanti promulgando leggi per la protezione e la tutela degli animali.

Dopo decine e decine appelli – ignorati – che io stessa ho rivolto all’Ambasciatore Li Ruiyu, mi rivolgo ai cittadini italiani e li invito ad inviare, in massa, un’email all’Ambasciatore cinese per chiedere di fermare il massacro di Yulin e vietare il consumo di cani e gatti in Cina.
La tradizione non può e non deve essere un pretesto per giustificare la cultura della crudeltà e della morte: tradizione e cultura devono adeguarsi alla crescente sensibilità e consapevolezza che gli animali, tutti, sono esseri senzienti e portatori di diritti, quello alla vita in primis.

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