Marte è un mondo turbolento, e non solo per le recenti tempeste di sabbia che l’hanno attraversato: anche nel passato del pianeta rosso ci sono testimonianze di violenti fenomeni naturali. Come il vulcanismo: le antiche eruzioni marziane sono state da tempo ricostruite dagli astronomi grazie ai diversi dati raccolti in questi anni sopra e attorno la superficie del pianeta. Ora – riporta Global Science – un nuovo studio condotto dalla Johns Hopkins University a Baltimora collega le emissioni di cenere, materiale e gas prodotti dall’attività vulcanica a un processo di formazione rocciosa ancora sconosciuto. I risultati, pubblicati su Geophysical Research: Planets, potrebbero aiutare gli scienziati a comprendere meglio la struttura di Marte e la sua potenzialeabitabilità.
Teatro dello studio è Medusae Fossae, una formazione geologica che si sviluppa vicino all’equatore marziano, composta da colline e ammassi di rocce sedimentarie. Gli scienziati conoscono questa massiccia struttura da decenni, così come sanno che le sue rocce hanno avuto origine dall’accumulo di polvere e detriti, cementificate sulla superficie del pianeta nel corso del tempo. La natura del fenomeno che ha scatenato questo processo geologico era però sconosciuto: vento, acqua, ghiaccio o eruzioni vulcaniche? Il nuovo studio chiarisce il mistero, affermando che si tratta dell’ultima opzione: Medusae Fossae avrebbe avuto origine durante un’esplosiva eruzione vulcanica avvenuta sul mondo rosso oltre 3 miliardi di anni fa. Secondo gli autori si tratterebbe di un fenomeno con una potenza senza precedenti, circa 100 volte maggiore della più forte attività vulcanica mai registrata sulla Terra. Il che renderebbe queste rocce il deposito vulcanico più ‘esplosivo’ dell’intero Sistema solare.
Per arrivare a questa conclusione i ricercatori hanno messo insieme diversi dati, a partire da quelli raccolti dalla sonda Mariner della Nasa negli anni ’60 fino alle informazioni ottenute grazie agli strumenti radar a bordo di Mro. I risultati hanno mostrato un volto nuovo dell’imponente Medusae Fossae, che non a caso prende il nome dalla Gorgone Medusa della mitologia greca. “Si tratta di un deposito davvero massiccio – commenta Lujendra Ojha, prima firma dello studio – non solo su scala marziana, ma anche rispetto al nostro sistema planetario. Non conosciamo altre strutture paragonabili a questa”.