Spazio: la sonda giapponese Hayabusa-2 è finalmente arrivata alla meta, l’asteroide Ryugu

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Uno scalino in un grafico. Una sequenza di pallini rossi che segue una linea piatta, prima più in alto, poi all’improvviso più in basso. Giù, fino allo zero. E in Giappone è subito festa. In quell’istante, con quel brusco calo, va a zero anche la tensione accumulata in 1302 giorni di viaggio interplanetario dagli scienziati e ingegneri della missione Hayabusa-2. Perché quello zero – la misura della differenza fra la velocità attesa e quella effettiva della sonda, una sorta di spread fra desiderio e realtà – significa che la sonda ha raggiunto la sua meta: l’asteroide Ryugu, a centinaia di milioni di km dalla Terra. Quello zero – spiega Marco Malaspina su Media INAF – ci dice che la sequenza di dieci manovre di correzione della traiettoria attuate nella fase finale d’approccio è andata secondo i piani, e che la velocità relativa di Hayabusa-2 rispetto a Ryugu è inferiore a 1 cm/s: zero, appunto. Insomma, parcheggio riuscito. Esattamente là dove doveva avvenire: a 20 km dalla superficie rugosa di quello strano corpo celeste a forma di diamante.

Misure Doppler del giorno di arrivo a Ryugu. L’asse verticale mostra la deviazione dal valore atteso per la velocità d’allontanamento dalla Terra della navicella. L’asse orizzontale è il tempo del 27 giugno 2018 (cliccare per ingrandire). Crediti: Jaxa

Se ci fosse un tagliando da esporre sul cruscotto della sonda, segnerebbe come giorno e ora d’arrivo le 9:35 ora giapponese (corrispondenti alle 2:35 ora italiana) di mercoledì 27 giugno. E invece nel grafico quel gradino lo vediamo alle 9:51. Sedici minuti più tardi. I 16 minuti impiegati dal segnale per coprire, viaggiando alla velocità della luce, i 280 milioni di km che ci separano da Hayabusa-2. Per farsi un’idea, se con un telecomando potessimo chiudere le porte della sonda a parcheggio avvenuto, vedremmo lampeggiare le doppie frecce oltre mezz’ora dopo aver premuto il pulsante: 16 minuti per trasmettere il comando radio, 16 minuti per vedere la luce tornare. Già da questo possiamo immaginare quanto sia stato difficile effettuare la manovra. E altre ancor più complesse attendono la missione.

Ma ora, per un po’, la sonda può starsene relativamente quieta lì dov’è, o quasi, raccogliendo per qualche settimana dati dall’alto. La palla passa dunque agli scienziati, fra i quali Ernesto Palomba dell’Inaf Iaps di Roma, membro del team di Hayabusa-2 e co-investigator della camera Onc e dello spettrometro Nirs3, che Media Inaf ha raggiunto per un commento a caldo.

Ernesto Palomba, ricercatore all’Inaf Iaps di Roma e membro della missione Hayabusa-2

«Dopo poco più di tre anni e mezzo finalmente siamo arrivati a Ryugu. Mi ricordo ancora quando questo asteroide non aveva nome, ma il solo suffisso numerico 162173. Essere arrivati è un primo importante successo», dice Palomba, «quindi emozione grande, ma anche apprensione per le prossime tappe future, che saranno molto impegnative. Dopo la grande impresa degli ingegneri del volo della Jaxa», spiega infatti il ricercatore, «adesso tocca a noi, al team scientifico. Da oggi e per il prossimo mese e mezzo Hayabusa-2 effettuerà delle orbite sempre più ravvicinate, per acquisire immagini e spettri e mappare completamente la superficie di questo piccolo corpo. Obbiettivo? Selezionare le zone di più alto interesse scientifico dove far atterrare il lander Mascot».

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