«Ccà pare Casamicciola...»: con queste parole il protagonista di Natale in casa Cupiello, la celebre commedia scritta da Eduardo De Filippo tra il 1931 e il 1932, descrive il caos cui si trova davanti entrando nella stanza dove poco prima, durante una furiosa lite tra la moglie e la figlia, sono finiti in pezzi stoviglie e soprammobili ed è stato «scassato» il presepe che stava costruendo con impegno maniacale. Perché De Filippo utilizza quel paragone per definire il putiferio causato dalla lite?
In realtà, già a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento, soprattutto nel linguaggio popolare delle regioni dell’Italia centro-meridionale, il termine casamicciola, derivato dal toponimo della cittadina termale dell’isola d’Ischia distrutta dal terremoto del 28 luglio 1883, aveva assunto un significato figurato per indicare una situazione di caos, di grande sovversione e sconquasso.
Augusto Placanica ha analizzato in un eruditissimo saggio la genesi e i motivi che hanno portato all’uso del termine casamicciola come metafora di disordine imprevedibile. Secondo Placanica, a differenza delle molte località italiane devastate da un terremoto o da un altro disastro naturale, la catastrofe di Casamicciola del 1883 colpì l’immaginario collettivo popolare perché fu distrutto un luogo di straordinaria bellezza naturale, dedicato alla salute e allo svago vacanziero, frequentato soprattutto da una clientela d’élite costituita da facoltosi aristocratici e ricchi borghesi di tutta Italia e di gran parte d’Europa. L’uso di tale metafora fu così diffuso nella prima metà del Novecento, da venire registrato fino a tutti gli anni Sessanta-Settanta, con l’iniziale rigorosamente minuscola, dai più importanti dizionari della lingua italiana. Ora sopravvive soltanto tra le generazioni più anziane e il termine non viene più considerato dai dizionari più recenti: lo si può però ancora ritrovare nel Vocabolario dell’Istituto Treccani consultabile in rete.
L’ipotesi illustrata da Placanica è del tutto condivisibile; tuttavia, forse, anche il caos organizzativo che caratterizzò nel 1883 l’opera di soccorso e la frequente ripetizione degli eventi sismici che nel corso dell’Ottocento avevano colpito Casamicciola giocarono un ruolo rilevante nel fare di casamicciola un nome comune astratto entrato nel patrimonio lessicale della lingua italiana.
I precedenti
Già a partire dalla seconda metà del Settecento, sono ricordati numerosi terremoti che colpirono Casamicciola e il suo territorio. Il 14 luglio 1762, l’architetto Luigi Vanvitelli, che si trovava a Casamicciola per un periodo di cure, fu testimone di due scosse di terremoto quasi consecutive poco dopo le 9 della mattina. Secondo le gazzette dell’epoca, ci furono danni notevoli agli edifici della cittadina. Verso la fine del secolo, intorno alle ore 17:30 del 18 marzo 1796, un violento terremoto fece crollare circa 50 case nei dintorni della chiesa parrocchiale di S.Maria Maddalena, nella parte meridionale di Casamicciola Alta: sotto le rovine morirono 7 persone e molte altre furono ferite.
Ancora più distruttivo fu l’evento del 2 febbraio 1828 su cui si hanno notizie precise grazie alla presenza sull’isola del chimico Nicola Covelli che stava svolgendo uno studio sulle acque termali. Covelli descrisse gli effetti del terremoto in due lettere al segretario perpetuo dell’Accademia delle Scienze di Napoli, Teodoro Monticelli, e in una estesa relazione.
La scossa distruttiva, avvenuta alle ore 10:15, colpì la parte nord-occidentale dell’isola d’Ischia, causando crolli estesi in un’area di pochi km2. Le località più danneggiate furono Casamicciola e Fango (frazione del comune di Lacco Ameno), dove collassarono numerosi edifici causando 29 morti e circa 50 feriti. Danni furono rilevati anche a Lacco Ameno e a Fontana. In particolare, a Casamicciola tutti gli edifici della parte alta dell’abitato furono gravemente danneggiati e molti crollarono; nella chiesa parrocchiale di S.Maria Maddalena cadde la prima volta della navata centrale schiacciando molte persone che assistevano a una funzione religiosa. Charles Lyell, che visitò Casamicciola nell’ottobre successivo, riferì che tutte le case erano ancora prive di tetto.
Dopo poco più di dieci anni, il 6 marzo 1841 alle ore 13, una forte scossa causò lesioni negli edifici di Casamicciola e qualche danno minore a Lacco Ameno.
Ulteriori forti scosse, senza danni rilevanti, furono sentite nel 1852 e nel 1863; ma il 14 agosto 1867Casamicciola subì nuovi danni. Di questo terremoto, avvenuto poco dopo la mezzanotte, che causò sconnessione di murature, caduta di calcinacci e di parti di ornato e una grave lesione al campanile della chiesa parrocchiale, furono testimoni il celebre drammaturgo norvegese Henrik Ibsen e lo scrittore danese Vilhelm Bergsøe che ne pubblicò la memoria nel 1907.
Infine, solo due anni prima del 1883, il 4 marzo 1881, Casamicciola subì un nuovo violento evento sismico. Anche questo terremoto causò effetti distruttivi in un’area molto limitata della parte settentrionale dell’isola d’Ischia. Complessivamente risultarono danneggiati 10 edifici pubblici e 883 privati, di cui 290 crollarono totalmente. Secondo i dati statistici rilevati dal Comitato di soccorso, pubblicati nella relazione redatta da Giuseppe Margotta, i vani crollati totalmente furono 834, quelli resi pericolanti e inagibili 117, quelli lesionati in modo considerevole 2952. I morti furono 127: 121 a Casamicciola, 5 a Fango, uno a Lacco Ameno, le tre località dove ci furono gli effetti più gravi. Danni meno gravi (lesioni e dissesti nelle murature) furono rilevati a Barano, Buonopane, Fiaiano, Fontana, Monterone e Tironi; a Forio ci furono danni leggeri.
Casamicciola fu la località più danneggiata, tuttavia gli effetti nei diversi nuclei dell’abitato furono estremamente differenziati. Alla Marina, la parte più bassa e più moderna dell’abitato, gli edifici subirono danni leggeri o risultarono illesi. Nella parte centrale del paese, attorno a piazza Bagni, furono riscontrate lesioni non gravi in alcuni stabilimenti termali mentre risultò gravemente danneggiato l’edificio delle terme del Pio Monte della Misericordia di cui rimasero abitabili solo tre ambienti. Le distruzioni riguardarono quasi esclusivamente la parte superiore e più antica dell’abitato, Casamicciola Alta. In questa zona, comprendente le vie Spezieria, Santa Barbara, Selva Pera, Sassolo, Casamennella, Cuccofriddo, Epomeo, Montecito, D’Aloisio, la quasi totalità delle abitazioni crollarono o subirono lesioni gravissime e dovettero essere demolite. La chiesa di S.Maria della Pietà, in piazza Maio, fu distrutta quasi totalmente: crollò il campanile, cedettero i muri laterali causando una grande spaccatura longitudinale al centro della volta, cadde la cupola. Nella vicina chiesa parrocchiale di S.Maria Maddalena furono invece riscontrati pochissimi danni. Complessivamente, le case distrutte furono 250 e circa 300 famiglie rimasero senza tetto (per notizie di dettaglio su questo evento si veda CFTI5Med (Guidoboni et al. 2018).
Dopo questo terremoto, gran parte degli studiosi di scienze della terra dell’epoca, in particolare Giuseppe Mercalli e Michele Stefano De Rossi, in seguito al ripetersi di effetti rovinosi localizzati nella parte superiore dell’abitato di Casamicciola, sconsigliarono la ricostruzione degli edifici distrutti nella stessa area. Tuttavia, lo stesso De Rossi, rispondendo nel luglio successivo a una lettera del sindaco di Casamicciola Giuseppe Dombrè, preoccupato per una leggera replica sentita in quei giorni, affermò che «l’esperienza storica insegna che il luogo il quale provò una recente catastrofe è per lungo tempo il più sicuro contro una simile ripresa» e che in un sito di recente colpito da un disastro sismico una scossa della stessa forza «ritornerà dopo un’intervallo che la stessa esperienza storica ci dice dover essere di lunghi anni». Sfortunatamente quanto accadde poco più di due anni dopo smentì clamorosamente tali affermazioni.
Non solo gli studiosi, ma tutti gli ischitani, come ricordò Luigi Palmieri, pensavano che il periodo di «riposo» sismico sarebbe stato lungo. Forti di questa convinzione a Casamicciola i proprietari ricostruirono o ripararono «alla meglio» e in tempi molto rapidi le case, gli stabilimenti termali e gli alberghi. Così alla vigilia della stagione estiva dell’anno 1882 il paese «parea interamente rifatto» dai danni subiti. Fu però la stagione balneare del 1883 quella che segnò la ripresa effettiva delle presenze di turisti e pazienti delle terme (Palmieri e Oglialoro 1884).
Come accennato, infatti, l’isola da tempo rientrava tra le mete turistiche internazionali: era nota per le sue risorse termali, ma anche per le bellezze paesaggistiche e, agevolata anche dalla vicinanza all’area partenopea, era molto frequentata per soggiorni anche lunghi da villeggianti italiani ed europei. Casamicciola era la località balneare più rinomata, per le sue moderne strutture termali e i grandi alberghi lussuosi. Woldemar Kaden professore di letteratura tedesca da anni a Napoli, ricordò quanta vivacità e affollamento ci fosse nel luglio del 1883 a Casamicciola: più di 1.500 bagnanti e turisti, alcuni dei quali noti e altolocati, che riempivano alberghi, hotel e appartamenti di privati; sebbene la ricettività fosse al limite, ne erano attesi molti altri (Kaden 1883).
Nessuno pensava di dover rivivere a soli ventotto mesi di distanza un altro disastro sismico e così si ignorarono e si sottovalutarono, si disse poi, due piccole scosse, che se confermate, avrebbero potuto allarmare locali e forestieri, e nuocere, quindi, all’andamento della stagione in pieno svolgimento. Così quando la notte del 23 luglio 1883 alcuni abitanti di Casamicciola che avevano affittato le loro case ai bagnati, dormendo all’aperto sdraiati al suolo avvertirono una leggerissima scossa di terremoto «tutti tacquero». Similmente alcuni turisti, che ne sentirono un’altra leggera accompagnata da un basso rumore la mattina seguente, furono rassicurati con diverse spiegazioni: lo scuotimento fu attribuito non a una scossa, ma da alcuni albergatori alla rottura di una conduttura sotterranea, da altri a dinamite fatta brillare in una miniera. Insomma, ebbe a dire in seguito lo storico locale Giuseppe D’Ascia, «si cercò di nascondere il fenomeno di prevenzione, perché erano soliti a ripetersi questi leggeri movimenti a Casamicciola, senza alcuna triste conseguenza» (Museo Francesco Genala, ms. 1884).
Le fonti
Le informazioni sullo scenario degli effetti del catastrofico terremoto del 28 luglio 1883, sugli aspetti relativi alle sue conseguenze sociali, istituzionali ed economiche, oltre che sui risvolti più propriamente sismologici e scientifici, derivano da numerosissime fonti coeve di tipologia diversa.
I dati ufficiali del terremoto – numero di morti, feriti, edifici distrutti o danneggiati, ammontare dei danni – sono riportati nella lunga Relazione finale, prodotta dal Comitato Centrale di Soccorso, una sorta di task force istituzionale, costituita con decreto del Presidente del Consiglio sei giorni dopo il terremoto, con funzione di coordinamento degli aiuti e di organo unico di raccolta e distribuzione dei fondi, pervenuti da enti e privati, italiani ed esteri. Le schede inedite compilate dai proprietari delle case crollate o danneggiate, allegate come atti all’attività dello stesso Comitato, così come i questionari redatti durante i sopralluoghi della Commissione nominata dal Collegio degli Architetti e Ingegneri di Napoli contengono dettagli fino al livello dei singoli edifici, in particolare per i comuni più grandi e più colpiti.
Tutti i maggiori geologi, sismologi e studiosi o appassionati di geofisica dell’epoca, ufficialmente incaricati, o scientificamente interessati, si recarono sul posto a studiare l’evento. Benché spesso questi studiosi cercassero negli effetti sismici quegli indizi sulle caratteristiche della scossa (direzione, natura ondulatoria o sussultoria, ampiezza delle onde) che consentissero loro di calcolare i parametri (localizzazione dell’epicentro e profondità) con i modelli matematici allora utilizzati, le loro descrizioni puntuali località per località, caseggiato per caseggiato, vallone per vallone, le loro considerazioni sulla natura dei terreni e sulla qualità degli edifici, restituiscono lo scenario del terremoto in tutta la sua complessità.
Ricordiamo le osservazioni dirette di Michele Stefano de Rossi, autore di numerosi contributi e di quattro relazioni presentate al ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio (pubblicate nella Gazzetta Ufficiale) e scritte in qualità di direttore dell’Osservatorio e Archivio Centrale Geodinamico di Roma, istituito proprio l’anno precedente a seguito del terremoto ischitano del 1881, ricordato sopra. De Rossi raccolse in seguito tutte le sue analisi (confrontate e integrate con quelle di altri studiosi) e un suo catalogo delle informazioni diviso per località, nel volume undicesimo (1884) del Bullettino del Vulcanismo Italiano, una rivista da lui fondata dieci anni prima, completamente dedicata ad argomenti inerenti le Scienze della Terra.
Visitarono l’isola e l’area dei maggiori effetti, anche più di una volta, e ne riferirono più o meno dettagliatamente: l’allora giovane Giuseppe Mercalli, autore tra altro de L’isola d’Ischia ed il terremoto del 28 luglio 1883 (1884), una dettagliata memoria su effetti, cause e linee guida per la ricostruzione, che lo fece conoscere e affermare nell’ambito sismo-vulcanologico italiano; il direttore del Regio Osservatorio Vesuviano Luigi Palmieri, autorità riconosciuta in ambito sismologico, autore di una relazione sull’evento insieme al chimico Agostino Oglialoro, che curò la parte relativa all’attività delle fumarole in relazione al terremoto. Ventiquattrore dopo il terremoto giunse sull’isola l’inglese Henry James Johnston-Lavis. Era a Napoli dal 1880 per perfezionare i suoi studi di medicina, ma da molto prima aveva maturato un interesse scientifico per la geologia e in particolare per i vulcani campani: i suoi contributi (1883, 1885) sono di grande utilità perché, riportando un dettagliato scenario dei danni dei due terremoti del 1881 e 1883, forniscono informazioni spesso anche su differenze, analogie dei due eventi e sullo stato delle riparazioni. Raggiunsero Ischia e riferirono del terremoto molti altri studiosi, tra cui citiamo il sismologo Alessandro Serpieri, il geologo e mineralista Guglielmo Guiscardi, inviato dall’Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli e l’ingegnere e geologo Luigi Baldacci, due volte a Ischia nell’agosto 1883 su incarico dal Regio Corpo delle Miniere. Alcuni altri studiosi coevi di ambito antropologico (Eugenio Fazio, Amerigo de Ciutiis, Clodomiro Perrone, Thomas W.S. Jones) focalizzarono la loro attenzione sulla risposta sociale ed economica alle distruzioni sismiche.
Questo terremoto fu un evento che oggi chiameremmo sicuramente ‘mediatico’. Ricordiamo che il periodo in cui avvenne il terremoto – fine luglio – era di massima presenza di turisti, di provenienza nazionale ed europea. Per questo e per la fama di cui da tempo godeva l’isola, il terremoto non poteva non avere una grande eco nei giornali e nelle riviste dell’epoca, italiani ed esteri, divenute oggi per noi fonti di informazioni sull’evento.
I resoconti e le corrispondenze giornalistiche dei principali quotidiani dell’epoca (Corriere del Mattino, Il Piccolo, Roma, Il Messaggero, Corriere della Sera, Gazzetta Piemontese, La Gazzetta di Mantova,), a cominciare dalle primissime ore dopo la scossa distruttiva delle 21:25 locali, riferirono con pathos crescente man mano che l’evento assunse le dimensioni di una immane tragedia, molti aspetti che caratterizzarono questo terremoto: lo smarrimento nell’immediato dei superstiti che, atterriti dalla scossa appena vissuta, dal rumore e dalla fitta polvere dei crolli, vagavano al buio in cerca di parenti e aiuto; il drammatico conteggio progressivamente crescente di morti e feriti; le tragedie dei singoli; le scosse successive; l’entità delle distruzioni; la dedizione dei soccorritori, contestualmente alle polemiche su ritardi e inadempienze; le iniziative di solidarietà; le controversie politiche e quelle scientifiche, fra esperti e studiosi, sull’origine di quel terremoto. Le testimonianze fotografiche, di cui qui proponiamo qualche esempio, forniscono supporto e immediato riscontro visivo alle testimonianze scritte, e sono, insieme ad altre tipologie iconografiche (disegni, xilografie, schizzi e mappe tecniche) a loro volta preziose fonti di informazioni.
Gli effetti
Il terremoto della sera del 28 luglio ebbe effetti distruttivi. I numeri della catastrofe sono impressionanti: 2.333 i morti, di cui 625 (il 27%) turisti, e 701 feriti (79, il 13%, non ischitani); oltre 1.360 gli edifici crollati totalmente. Le devastazioni si concentrarono in gran parte in un’area di circa 15 km2 (dei 46 complessivi dell’isola) a nord-nordovest, corrispondente ai territori comunali di Casamicciola, Forio e Lacco Ameno.
Lo scenario degli effetti per località mostrò con drammatica evidenza ai contemporanei la specificità della risposta sismica dei paesi ischitani, già osservata due anni prima: la distribuzione dei danni fu, infatti, fortemente disomogenea tra la parte alta e quella costiera all’interno dello stesso comune, anche a distanze molto brevi.
Lo si vide benissimo a Casamicciola, il comune più colpito, abitato da 4.300 persone: l’80% delle 672 abitazioni esistenti crollò e il restante 20% fu danneggiato. A questi vanno aggiunti i crolli e i danni agli edifici pubblici, religiosi e turistici, cioè gli stabilimenti termali e le strutture ricettive.
Fu nella parte alta del paese che avvenne la distruzione della totalità degli edifici. Seguendo la toponomastica stradale, rimasta pressoché inalterata da allora, da ovest verso est, possiamo ripercorrere le aree rase al suolo quasi istantaneamente dalla scossa, che ridusse in macerie, spesso minute, gli edifici e lasciò in piedi solo qualche pezzo di muro: dai caseggiati di Casamennella, La Rita, piazza Maio (dove collassò la parrocchiale di S.Maria Maddalena), Purgatorio, lungo corso Garibaldi e le vie Sassola e Roma, fino a piazza Bagni. In questa piazza, centro della cosiddetta zona Monte, il grande edificio termale del Pio Monte della Misericordia, di pianta poligonale irregolare e costruito a strapiombo su una ripida scarpata, già sconquassato nel 1881, crollò, come pure il vicino ospizio omonimo; la chiesa della Madonna dell’Assunta, con navata centrale e due laterali, subì crolli con modalità ricorrenti in questo genere di edifici: la facciata e porzioni adiacenti della navata centrale e delle laterali, si distaccarono e crollarono, portando con sé parte della copertura; il resto dell’edificio rimase in piedi profondamente lesionato. Anche più a est nei rioni Spezieria, Tresta e Bagno Fresco le distruzioni colpirono la quasi totalità dell’edificato.
Nelle aree immediatamente a nord e intermedie tra la parte alta e il litorale di Casamicciola, i crolli furono estesi, ma non totali e i danni gravissimi: si tratta del rione occidentale Campo, delle due colline dove sorgevano rispettivamente i rinomati alberghi Piccola e Grande Sentinella (il primo crollato totalmente, il secondo parzialmente), di viale Regina Margherita, e più a est del quartiere San Pasquale e dei famosi due edifici comunicanti dell’albergo Villa Balsamo, segnato da crolli parziali (la parte nordest del fabbricato nord crollò, la restante e l’edificio gemello furono gravemente lesionati).
A Casamicciola bassa i danni furono tanti, ma decisamente minori e, la loro gravità diminuì gradualmente, passando dalla parte occidentale, la cosiddetta Marina, dove in molte case crollarono i piani superiori e in molte altre ci furono gravi e profonde lesioni, a quella orientale, zona Perrone-Cimitero, dove gli edifici subirono leggere lesioni.
Lo scenario fu poco meno catastrofico, ma molto simile nella distribuzione dei danni a Lacco Ameno, abitata da 1800 persone: delle 389 case esistenti, 269, cioè il 69%, crollarono, 102 (il 26%) furono danneggiate e solo 18 (5%) non subirono effetti. Tuttavia le distruzioni pressoché totali avvennero nelle parti alte del comune, cioè nelle frazioni Casamonte, Fango, Pannella e Mezzavia. Più in basso avvicinandosi alla Marina, nelle vie Fundere, del Rosario, San Rocco, e a Villa Arbusto, i crolli furono minori ma comunque estesi, e tutto l’edificato fortemente danneggiato. Sulla costa gli effetti furono meno gravi: a est, all’Annunziata, la chiesa omonima e le case rimasero in piedi ma con gravi danni; intorno a piazza Santa Restituta, nella parte bassa centrale del paese, gli edifici furono lesionati e subirono strapiombi, come l’omonima chiesa che ebbe il distacco della facciata; a ovest, nelle zone di Monte Vico, Zale e San Montano, le case subirono danni leggeri o rimasero illese.
Anche a Forio, che insieme alla più meridionale delle sue frazioni Panza (gravemente danneggiata) aveva 6.800 abitanti, le distruzioni furono estese. Per questa località il Comitato di Soccorso fornì i dati relativi ai 2.713 vani esistenti: 1.344 (il 49,5%) crollarono, 977 (il 36%) furono danneggiati e 392 (14,5 %) non ebbero danni. La parte alta del comune fu quella più colpita con crolli totali e parziali e gravi danni: a partire dalle frazioni sui versanti dell’Epomeo, Monterone, Tirone e contrada Monte, dove gran parte delle case furono distrutte, i danni furono progressivamente minori, ma comunque gravissimi, fino a quote più basse, cioè la parte appena sopraelevata vicina al mare, dove ci furono crolli parziali (tra cui il campanile della chiesa di S.Maria di Loreto), e gravi lesioni. Anche i piccoli caseggiati e le case sparse sui crinali del monte Epomeo furono in gran parte distrutti.
Le località del versante sud-sudovest del monte Epomeo furono gravemente danneggiate. Sia a Serrara, sia nelle sue frazioni Fontana e Ciglio, ci furono crolli solo parziali di edifici e gravi lesioni nelle case e nelle rispettive chiese parrocchiali. Complessivamente nel territorio comunale abitato da 2.000 persone, dei 1.159 vani componenti le abitazioni, 65 (6%) crollarono, 973 (84%) furono danneggiati e 121 (10%) rimasero illesi.
Il comune di Barano d’Ischia (4.600 abitanti) ebbe tipologie di danni (crolli parziali e gravi lesioni) e percentuali simili nei 1.693 vani esistenti nel suo territorio: 63 (4%) crollati, 1430 (84%) danneggiati e 200 (11%) illesi, distribuiti tra il capoluogo e le frazioni di Buonopane e Fiaiano.
Le località dell’area orientale dell’isola ebbero effetti progressivamente minori dalla dorsale dell’Epomeo fino a Ischia e Ischia Porto dove i danni furono pochi e lievi.
Il ripetersi di numerose altre scosse, tra cui la più forte avvenne alle 10:00 locali del 3 agosto, determinarono la caduta di muri pericolanti e un ulteriore indebolimento degli edifici rimasti in piedi.
Effetti sull’ambiente naturale
Ci furono numerosi effetti, più o meno evidenti ai contemporanei. Alcuni cambiamenti avvennero già qualche giorno prima della scossa distruttiva. Tra questi ci furono le variazioni osservate nelle acque sotterranee, che poi impiegarono tempi diversi per ritornare allo stato preesistente: ci fu un aumento progressivo della temperatura e una sensibile diminuzione della loro portata in diverse sorgenti termali (Gurgitello a Casamicciola, Cavascura a Serrara, Nesbith e Santa Restituta a Lacco Ameno, Soriceto a Panza) e una diminuzione delle acque nei pozzi di alcune località (a Casamicciola, e a Citara e Baiola frazioni di Forio). Sempre qualche giorno prima le fumarole di Montecito a Casamicciola, così come quelle sulla spiaggia di Maronti, nel comune di Serrara, scarsamente attive da tempo, aumentarono notevolmente l’attività caratterizzata da sibili e forti getti di vapore. Dopo la scossa variarono le intensità di emissione, si formarono nuove fumarole e ne scomparvero altre.
Diverse persone riferirono di aver visto contemporaneamente al terremoto anomali fenomeni luminosi (lampi o sfere incandescenti). Sulla costa furono notati alcune anomalie nel livello dell’acqua marina: a Forio un inconsueto ritiro del mare come se il fondale marino si fosse sollevato; a Citara un’emersione in superficie di quantità di fango, e a Ischia un ritiro dalla linea di costa del mare, ritornato a distanza di un’ora con una ondata di debole entità.
Tra gli effetti ambientali tali da determinare modificazioni significative al territorio ci furono le frane attivate dalla scossa distruttiva sui versanti dell’Epomeo. In particolare, sopra l’abitato di Fango se ne distaccarono due vicine, con fronte di circa 90 m, con un movimento verso il basso dai 500 ai 150 m sul livello del mare. Si verificarono anche distacchi di enormi massi tufacei che rovinarono i terreni sottostanti e si aprirono in più punti delle fenditure nel terreno.
L’impatto socio-economico
Le conseguenze del terremoto sulle piccole comunità dell’isola furono devastanti. Anche da questo punto di vista è evidente perché questo evento fu chiamato, il terremoto di Casamicciola. Fu il paese demograficamente più colpito: la perdita di una percentuale altissima (il 29%), cioè 1.235 dei suoi 4.300 abitanti, fu tale da compromettere pesantemente il tessuto e gli equilibri sociali, oltre che le attività produttive del paese. La ripresa demografica fu lenta e solo più di cinquantanni dopo gli abitanti superarono di nuovo le quattromila unità (4.086 nel censimento del 1936). La perdita di abitanti negli altri paesi colpiti fu in percentuale molto minore (8% a Lacco Ameno, meno del 6% a Forio) e le conseguenze socio-economiche furono quindi più velocemente e facilmente assorbite negli anni successivi.
I danni al patrimonio edilizio e ai beni dei paesi colpiti furono ingenti: alla fine delle attività di ricognizione il Comitato governativo di soccorso stimò in lire 9.857.017 l’entità dei danni ai beni immobili e in lire 1.388.466 a quelli mobili.
Le devastazioni del terremoto, inoltre, compromisero per anni le attività produttive principali dell’isola: frane e smottamenti distrussero campi e vigne, danneggiando gravemente la produzione agricola isolana, la cui attività prevalente era la viticoltura e la produzione del vino. Il turismo, trasversale a tutti i ceti sociali per la presenza sia di strutture di lusso, sia dell’ospizio della Misericordia che assicurava cure gratuite ai poveri, era divenuto nel tempo la principale attività di sostentamento di Casamicciola, tanto che i contemporanei affermavano che negli anni immediatamente precedenti il terremoto, in quattro mesi (da luglio a settembre) il paese si assicurava il sostentamento. Come si è visto, le strutture e le attività legate al turismo termale e balneare di Casamicciola furono colpite dal terremoto e per molti anni questa risorsa ne rimase compromessa.
Approfondimento tratto dal Blog INGVterremoti, a cura di Cecilia Ciuccarelli e Dante Mariotti (INGV, Sezione di Bologna)
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