Domenica 28 ottobre, vincendo le elezioni con il 55,2% di preferenze, Jair Bolsonaro è diventato Presidente del Brasile battendo di 10 punti percentuali l’avversario Fernando Haddad. Bolsonaro è definito da molti come un orgoglioso razzista, misogino e omofobo, a favore della tortura e della dittatura. Correndo per il Partito liberalsocialista, è riuscito a ottenere il voto di una popolazione disillusa, arrabbiata e stanca della corruzione che corrode la politica nazionale.
Con il suo populismo e la sua agenda di estrema destra, si è guadagnato il soprannome di “Trump dei Tropici”. Come il suo “omonimo”, ha annunciato le sue intenzioni di far uscire il Brasile dall’Accordo di Parigi, che rappresenterebbe un altro duro colpo agli sforzi internazionali per arginare i cambiamenti climatici. Uscendo dall’Accordo, il Brasile non sarebbe più impegnato a limitare le sue emissioni di gas serra. Ma non è tutto.
Bolsonaro si è allineato al cosiddetto “blocco ruralista”, che sostiene gli interessi dei grandi proprietari terrieri e dell’industria agricola. Nella strada verso le elezioni, ha parlato di allentare le protezioni ambientali, di aprire i territori indigeni all’estrazione mineraria e ha addirittura proposto un piano per costruire una grande autostrada asfaltata che attraversi la Foresta Amazzonica! Durante la sua campagna, Bolsonaro ha parlato anche dei piani per rimuovere le protezioni terriere per gli indigeni, allontanare le ONG internazionali, come Greenpeace e WWF, dal Paese ed eliminare il Ministero dell’Ambiente del Brasile. Quest’ultimo, se le cose dovessero andare così, finirebbe nelle mani del Ministero dell’Agricoltura guidato dall’industria agricola, che ha meno interesse nella sostenibilità e nell’ambiente.
Perché tutto questo è così importante? Il Brasile ospita il 60% della foresta tropicale più grande del mondo, l’Amazzonia, essenzialmente uno dei più grandi pozzi di assorbimento di carbonio del pianeta. Difatti, assorbe talmente tanto carbonio da annullare le emissioni di gas serra dell’area, ma sta già assorbendo un terzo in meno del carbonio che assorbiva fino ad un decennio fa. Tra il 2005 e il 2012, il tasso di deforestazione in Amazzonia è sceso da 20.000 km² all’anno a 6.000 km² all’anno e sarebbe davvero un peccato assistere all’inversione di questa tendenza.
Ma la speranza non è del tutto persa. Lo stesso presidente è stato vago e incoerente riguardo le sue politiche ambientali. Anche se ha parlato in molteplici occasioni dell’idea di lasciare l’Accordo di Parigi, recentemente ha dichiarato che non lo farà. Il suo manifesto, inoltre, mostra sostegno all’espansione dell’energia rinnovabile. Se decidesse di mantenere fede alle promesse ostili all’ambiente, avrà la Costituzione brasiliana, il Senato e il Congresso con cui fare i conti. Staremo a vedere.