Astronomia: le code delle comete “scompigliate” dal vento solare

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Deve il nome all’astronomo che l’ha osservata per la prima volta il 7 agosto 2006 ed è stata una delle comete più luminose e visibili dalla Terra negli ultimi 50 anni: si tratta della cometa McNaught, classificata con il codice C/2006 P1, che torna agli onori della cronaca per uno studio dedicato a polveri e code cometarie. La ricerca, recentemente pubblicata su Icarus, è stata illustrata nell’articolo “Fine-scale structure in cometary dust tails I: Analysis of striae in Comet C/2006 P1 (McNaught) through temporal mapping”; l’indagine, che ha visto la partecipazione della Nasa e del Naval Research Laboratory di Washington, è stata coordinata dall’University College London. A pochi mesi dalla scoperta, nel gennaio 2007, C/2006 P1 divenne particolarmente luminosa e visibile – anche di giorno e a occhio nudo – nel cielo dell’emisfero terrestre meridionale, assumendo un aspetto somigliante ad un ventaglio aperto. La cometa – spiega Global Science – appartiene ad uno specifico gruppo caratterizzato da un eccezionale fulgore, ma si differenzia dalle sue ‘colleghe’ per la struttura della coda; Infatti, la coda appare composta da numerose bande di polveri, chiamate striae, che, dal nucleo, si estendono per oltre 160 milioni di chilometri – una distanza superiore a quella tra la Terra e il Sole.

Nel 2007, al culmine della sua luminosità, C/2006 P1 non passò inosservata ad una serie di esploratori cosmici: su di lei hanno puntato gli occhi le sonde gemelle Stereo (Solar TErrestrial RElations Observatory) della Nasa, mentre la loro collega Nasa-Esa Ulysses ne ha osservato la lunga coda. Grazie alla missione Stereo, inoltre, sono state realizzate le prime immagini satellitari della cometa, che, da allora ha suscitato un profondo interesse negli astronomi, impegnati a cercare una risposta per le striature della coda. Un precedente, in tal senso, è costituito dalla Grande Cometa del 1744 che, secondo le testimonianze e i disegni dell’epoca, presentava addirittura sei code. Oltre ai dati delle missioni giù citate, gli autori dell’articolo hanno utilizzato le informazioni raccolte dalla sonda Nasa-Esa Soho (Solar and Heliospheric Observatory), che nel corso degli anni ha osservato più volte C/2006 P1. Le comete, composte da gas ghiacciato, rocce e polveri, sono fossili risalenti alla formazione del Sistema Solare e sono considerate dagli esperti delle vere e proprie ‘capsule del tempo’ che possono rivelare particolari importanti sugli albori del nostro sistema planetario, soprattutto quando si avvicinano al Sole. Com’è noto, l’intenso calore emanato dall’astro agisce sul nucleo ghiacciato delle comete e ne libera le polveri che formano due code distinte: una formata, appunto, da polveri e un’altra costituita da ioni. Gli astronomi si sono puntati soprattutto sul comportamento delle polveri, per capire cosa le spinga a raggrupparsi o a suddividersi.

Il punto di rottura appare connesso alla corrente eliosferica diffusa, una linea di confine dove l’orientamento magnetico del vento solare cambia direzione. Questo fenomeno ha particolarmente incuriosito gli scienziati dato che, in precedenza, non era stato riscontrata un’azione sulle polveri da parte del vento solare, la cui influenza sugli ioni, invece, è ben nota. Il team della ricerca ha deciso quindi di sfruttare al massimo i dati delle osservazioni in suo possesso, anche perché C/2006 P1, che viaggia a oltre 90 chilometri al secondo, si sta allontanando dalla visuale delle sonde Stereo e Soho. Gli astronomi hanno messo in atto una nuova tecnica di elaborazione delle immagini, creando un modello informatico della coda in cui la posizione di ogni granello di polvere è stato mappata sotto diversi aspetti per avere un quadro completo dell’andamento delle bande nel corso del tempo. L’evoluzione della coda, quindi, è stata tenuta sotto controllo per un periodo di 2 settimane e il risultato della simulazione sembra confermare che all’origine della suddivisione delle polveri vi sia la corrente eliosferica diffusa. Comprendere al meglio questi processi, secondo il gruppo di lavoro, getta nuova luce sui fenomeni che hanno caratterizzato il Sistema Solare ai suoi inizi e hanno contribuito a plasmarlo.

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