Le bibite zuccherate che aumentano il rischio di diabete e di altre malattie croniche possono anche creare dipendenza. Lo svela uno studio condotto dai ricercatori dell’University of California condotto su giovani di età compresa tra 13 e 18 anni che, privati delle bibite per soli 3 giorni, hanno riportato mal di testa, crisi d’astinenza e altri sintomi d’astinenza.
Tutti e 25 i partecipanti dello studio riportavano di consumare normalmente almeno 3 bibite zuccherate al giorno prima dello studio. I giovani hanno riportato i seguenti sintomi durante i 3 giorni in cui non hanno bevuto le bibite: oltre ai sintomi già citati, hanno riportato anche riduzione della motivazione al lavoro, mancanza di appagamento e dell’abilità di concentrazione, desiderio di bevande zuccherate e riduzione del benessere generale. I partecipanti hanno fornito anche campioni di saliva per testare il consumo di caffeina, in modo che fosse chiaro che i sintomi non fossero dovuti all’astinenza da caffeina, bensì al consumo ridotto di zuccheri. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Appetite.
Gli autori fanno notare che i risultati dello studio sono coerenti con ricerche precedenti che riportavano il potenziale di dipendenza dallo zucchero, un’area relativamente nuova e in rapido sviluppo con parallelismi con l’abuso di sostanze. Inoltre, secondo i ricercatori, lo studio era necessario perché il consumo di bevande zuccherate tra gli adolescenti è aumentato di 5 volte dagli anni ’50 e l’adolescenza è un periodo di maggior vulnerabilità alla dipendenza. Secondo lo studio, negli ultimi decenni i giovani hanno consumato le quantità maggiori di bevande zuccherate e hanno vissuto i più importanti aumenti di peso.
Lo studio potrebbe avere importanti implicazioni per la salute pubblica e dovrebbe essere ripetuto con un campione più ampio, sostengono i ricercatori. “Numerosi studi indicano le bevande zuccherate come contributo ad una serie di malattie croniche. I nostri risultati, ossia che queste bibite potrebbero avere proprietà che creano dipendenza, rendono la loro disponibilità molto diffusa e la loro promozione pubblicitaria verso i giovani molto più preoccupante per la salute pubblica”, ha dichiarato Jennifer Falbe, autrice dello studio.