Future Health Index 2018: la sanità basata sul valore a partire dalla Connected Care e dalle soluzioni digitali

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Royal Philips (NYSE: PHG, AEX: PHI) presenta i risultati dell’edizione 2018 del Philips Future Health Index (FHI), lo studio internazionale condotto su 16 paesi[1] nel mondo inclusa l’Italia. Il report di quest’anno si basa sul presupposto che un modello sanitario basato sul valore e supportato dalle tecnologie connesse costituisca l’approccio più efficace per far fronte alle sfide della sanità odierna[2]. Il triplice obiettivo dello studio è, infatti, misurare e confrontare il valore generato in ambito sanitario in ciascun paese preso in esame, riflettere sul  gap dell’Italia rispetto ai dati globali ed europei per l’attuazione di una strategia efficace di value-based healthcare[3] e verificare lo stato della Connected Care all’interno del sistema sanitario, condizione ineludibile per accelerare il percorso verso un modello di sanità del valore.

Lo studio in Italia ha coinvolto 1.500 cittadini e 200 professionisti sanitari dai quali sono state raccolte percezioni ed esperienze su accesso alla sanità, soddisfazione per i servizi erogati ed efficienza complessiva del sistema sanitario, confrontati con dati di terze parti[4]. Inoltre, per valutare il livello di adozione della Connected Care le interviste si sono focalizzate sulle modalità di raccolta e analisi dei dati clinici (e, quindi, sulle opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale) e di erogazione dei servizi di cura con un focus sugli investimenti in telemedicina.

Mai come quest’anno emerge chiara l’esigenza di ripensare il paradigma che definisce l’erogazione della cura e stimolare un dialogo aperto verso una trasformazione definitiva dei modelli di assistenza tradizionali.” Dichiara Stefano Folli, CEO e Presidente Philips Italia, Israele e Grecia. “Diventa ormai sempre più necessario il passaggio da logiche di costo a logiche di valore, rimodulare i criteri da prestazione a percorso terapeutico, da costo per singolo servizio a bundle a pacchetto, da sistema ospedale-centrico a sanità territoriale con strutture per la presa in carico del paziente e centri di altissima specializzazione. Questo paradigma impone un ruolo fondamentale alla tecnologia e alla Connected Care fornendo una base per migliorare accesso, integrazione ed efficienza del sistema e rappresentando la conditio sine qua non nel percorso verso la value-based healthcare.”

Le principali evidenze

  1. Il Value Measure

Philips ha introdotto in questa edizione il Value Measure, un nuovo indicatore che nasce con l’obiettivo di misurare l’effettiva capacità di un sistema di generare valore sulla base di tre fattori chiave: accesso, soddisfazione ed efficienza.

L’Italia, con un punteggio di 41,78, è in linea con la media globale (43,48) in termini di Value Measure (ad eccellere è Singapore con un punteggio di 54,61), ma è fanalino di coda in Europa con un punteggio inferiore alla media (47,77).

Nel confronto con i 16 paesi dello studio, l’accesso alla sanità risulta essere leggermente superiore rispetto alla media grazie al minor peso dei costi per interventi chirurgici che gravano sui pazienti (1% rispetto alla media del 16%)[5]. Tuttavia, il punteggio dell’Italia è frenato da una densità inferiore alla media di professionisti sanitari qualificati (97 per 10.000 abitanti rispetto a una media di 109)[6] e di letti ospedalieri (34 per 10.000 abitanti vs 38 medi)[7].

Il punteggio di soddisfazione dell’Italia verso i servizi erogati è sostanzialmente sotto la media dei 16 paesi registrando un punteggio di 44,97 vs 52,85 degli altri paesi. Si evidenzia però una differenza sostanziale tra popolazione generale e professionisti sanitari: per i primi il dato scende inesorabilmente fino al 39,13, evidenza supportata dal fatto che solo un italiano su 3 sente i propri bisogni soddisfatti. Più ottimisti, seppur sotto la media, i professionisti sanitari con uno score del 50,82. Discriminante, in questa lettura, il grado di fiducia palesato dagli intervistati (il 36% dichiara di fidarsi poco o per nulla). Complessivamente il paziente italiano è consapevole di vivere in un paese dove il servizio sanitario è una ricchezza, ma lamenta difficoltà ad accedere ai servizi offerti a causa, in primis, della disparità di trattamento tra le varie regioni e delle lunghe liste d’attesa.

Infine, di poco superiore alla media globale (27,24 vs 26,69) risulta il dato relativo all’efficienza: la spesa sanitaria risulta essere utilizzata in modo efficace. Un punteggio rafforzato da risultati superiori alla media (90 vs 77,3)[8] in termini di stato complessivo di salute, ma leggermente frenato dalla spesa sanitaria di poco superiore alla media come percentuale del PIL (9,2 vs 9)[9].

  1. Lo stato della Connected Care

La value-based healthcare rappresenta un nuovo approccio strategico al miglioramento dei sistemi sanitari e per poter funzionare deve essere quantificato: per questo è fondamentale avvalersi di modelli informatici capaci di monitorare sistematicamente costi e risultati. La Connected Care lavora in questo senso e rappresenta oggi più che mai la soluzione più sostenibile ed efficiente per integrare l’hardware (database e dispositivi), il software (strumenti di analisi), i servizi e le norme sull’accesso ai dati per permettere ai diversi attori del sistema sanitario di essere sempre connessi e condividere le informazioni.

Philips gode in questo contesto di un osservatorio privilegiato perché vanta nel Paese una considerevole presenza di installato. Questo è importante perché da sole queste macchine costituiscono una rete che si dirama su tutto il territorio, una rete di dati, di informazioni, di tecnologia predittiva e correttiva, che può essere controllata da remoto, su cui si appoggiano dei sistemi informativi. Fare leva su questo patrimonio di dati, insight ed expertise è il primo passo per supportare le strutture ospedaliere nell’adozione di una Connected Care reale e concreta, in grado di fare da ponte verso una sanità basata sul valore.

E se in Italia gli intervistati palesano ancora una scarsa conoscenza delle nuove tecnologie, tuttavia ne riconoscono l’importanza e si dicono pronti a adottarla, certi che porterà dei vantaggi concreti al loro modo di vivere la salute lungo tutto il continuum of care.

La raccolta dei dati clinici è già avviata nel nostro Paese[10] grazie all’introduzione della Cartella Clinica Elettronica (CCE)1. Tuttavia l’Italia risulta sotto la media globale per gli investimenti sullo sviluppo della CCE e sui dispositivi wearable per la salute con un punteggio di 22,97, oltre 5 punti sotto la media. Basso il dato di adozione sia negli ospedali, con una spesa per letto intorno ai 1.800 $ contro una media di quasi 2.500 $[11], sia nel contesto ambulatoriale, con una spesa pro capite di 3,61 $ rispetto ai 4,67 $[12]. Inoltre, solo un terzo dei medici di medicina generale dichiara di aver utilizzato la CCE[13]. Il punteggio dell’Italia in termini di raccolta dati è leggermente frenato da un tasso di adozione pro capite più basso della media globale di dispositivi wearable (0,03 utenti rispetto a 0,04 in media)[14]. Gli ostacoli principali sono legati alla privacy dei dati e alla lacune dell’infrastruttura tecnologica italiana che potrebbero giocare un ruolo preponderante nei più bassi livelli di adozione: il 41%[15] della popolazione in Italia afferma, infatti, di non fidarsi del fatto che un’azienda entri in possesso dei propri dati personali; in Italia si rileva, inoltre, il più basso tasso di penetrazione di internet rispetto alla media globale: 61% vs 74%[16].

L’analisi dei dati clinici è ancora difficoltosa in Italia (sotto la media 34 vs 38,39). Esistono differenze significative tra gli investimenti nell’analisi dei dati per la diagnosi iniziale e in quelli per la pianificazione del percorso terapeutico: i primi sono in linea con la media globale (0,06 $ pro capite), mentre i secondi sono inferiori (0,02 vs 0,03 $)[17]. Eppure l’impiego della intelligenza artificiale (AI) rappresenta per il nostro Paese una sfida e un’opportunità concreta che gli intervistati già intravedono.

Infine, per quanto riguarda l’erogazione dei servizi di cura, l’Italia è decisamente sotto la media con un dato complessivo che si attesta sui 14,69 a fronte del 22,41 della media dei 16 paesi. Un punteggio penalizzante, frenato da investimenti ancora troppo bassi in telemedicina e nella diagnostica per immagini. Nonostante l’Italia abbia un tasso di adozione pro capite superiore alla media di applicazioni pay-to-use per il monitoraggio remoto dei pazienti (0,0028 vs 0,0023 pro capite)[18], lo stato attuale dell’assistenza sanitaria è potenzialmente limitato dalla mancanza di unità e di personale dedicati alla telemedicina sia in ambito ospedaliero, che ambulatoriale che domiciliare[19].

Ma soprattutto mancano i processi in grado di definire e regolamentare i flussi di lavoro nel contesto della teleassistenza, sia hospital-to-home che tra gli ospedali stessi. Eloquente il dato riportato dal Politecnico di Milano: seppur, infatti, si stima che nel 2017 le strutture sanitarie italiane abbiano investito circa 24 milioni di euro in questo ambito (in aumento rispetto ai 20 milioni dello scorso anno), solo il 38% dei Direttori delle aziende sanitarie italiane reputa la Telemedicina un ambito molto rilevante.[20] Anche, quando si tratta di imaging, l’Italia scende al di sotto della media in diverse aree tra cui PET, SPECT, MRI, TC e raggi x[21], registrando uno score di 12,05 contro un dato medio che si attesta sul 19,31.

  • [1] I paesi coinvolti nello studio sono: Arabia Saudita, Australia, Brasile, Cina, Francia, Germania, India, Italia, Paesi Bassi, Russia, Singapore, Spagna, Stati Uniti, Sud Africa, Svezia e UK.
  • [2] Nel 2016 il Future Health Index misurava attitudini e percezioni dei cittadini rispetto al grado di prontezza ad accogliere la Connected Care. Lo scorso anno, nella seconda edizione, lo studio ha aggiunto alla popolazione la componente dei professionisti sanitari, confrontando il loro percepito con dati terzi e restituendo una fotografia inequivocabile: entrambi si dichiaravano, infatti, pronti ad abbracciare la rivoluzione digitale, mentre il sistema sanitario si dimostrava lento a rispondere alle loro esigenze.
  • [3] La value-based healthcare è la strategia  che intende definire nuovi modelli sanitari basati sul valore con l’obiettivo di migliorare gli esiti di salute dei pazienti, contenendo costi e risorse.
  • [4] Le terzi parti considerate sono: l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Banca Mondiale, l’International Data Corporation, l’Osservatorio Innovazione Digitale in sanità 2018
  • [5] World Bank 2014
  • [6] World Heart Organization 2013-2016
  • [7] World Health Organization 2009-2015 Global health Observatory Data Repository
  • [8] WHO 2015-2016
  • [9] World Bank 2014
  • [10] The Commonwealth Fund 2010-2015 e WHO 2010-2015
  • [11] Grand View Market Research 2016 Medication Management Market Report
  • [12] Ibid
  • [13] Statista Italy: level of usage of the Electronic Health Record in 2017
  • [14] Future Health Index 2017
  • [15] Ibid
  • [16] World Bank 2017
  • [17] Future Health Index 2017
  • [18] Statista 2014
  • [19] Grand View Research 2016 Remote Patient Monitoring Devices Report
  • [20] Osservatorio innovazione Digitale in Sanità 2018
  • [21] Grand View Market Research 2016Medical Imaging Market
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