Davide Astori non aveva scampo. La sua malattia era di quelle che, oltre ad essere di difficile diagnosi, sono ‘invisibili’ e dunque diventa quasi impossibile curarle. È quanto emerso dall’ultima consulenza sulla morte del capitano della Fiorentina trovato privo di vita lo scorso marzo, in una camera d’albergo di Udine, poco prima di un match che la squadra toscana doveva disputare contro l’Udinese. Come si legge sulle pagine del Corriere, il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo ha chiesto una attenta perizia al più noto esperto mondiale di questa malattia, la fibrillazione ventricolare da cardiomiopatia aritmogena, ovvero il professor Domenico Corrado dell’Università di Padova. In particolare l’obiettivo della Procura era quello di capire se il capitano della Fiorentina poteva essere salvato.
Gli esperti dell’ateneo di Padova hanno dunque preso in esame circa 800 casi di morte improvvisa di giovani under 35, dei quali circa “un centinaio sono atleti“. Anche Piermario Morosini, ad esempio, era stato stroncato dalla stessa patologia. Nei giovani affetti da questa malattia, il praticare un’attività sportiva aumenta di ben cinque volte il rischio di morte. Tutti gli screening effettuati su Astori, l’ultimo tra l’altro avvenuto poche ore prima della morte, non hanno evidenziato anomalie del cuore. La patologia è dunque un vero e proprio killer che colpisce un soggetto su 5000 sotto i 35 anni di età. E anche dopo la morte, nel 20% dei casi, non lascia tracce evidenti, proprio come è accaduto nel caso di Davide.
La cardiomiopatia aritmogena causa un’accelerazione dei battiti e porta all’arresto cardiaco. E per il caso di Davide Astori già i professori Carlo Moreschi e Gaetano Thiene lo avevano confermato poco tempo dopo la sua morte. Ora è arrivata un’ulteriore conferma. Ma l’indagine resta comunque aperta, perché la perizia non ha fornito alla Procura nessuna certezza in merito ad eventuali responsabilità dei medici sportivi, pur favorendo l’idea che chi doveva controllare lo stato di salute del calciatore non poteva facilmente individuare la malattia, i cui sintomi, appunto, non sono palesemente riconoscibili e soprattutto spesso non sono evidenti.
Tra i casi analizzati dagli esperti dell’università di Padova, capofila mondiale nella ricerca della patologia, ci sono altri campioni dello sport. Tra questi anche il nuotatore azzurro Mattia Dall’Aglio, 24 anni, morto nell’agosto dello scorso anno mentre si allenava a Modena. “Oggi siamo certi: il decesso trova origine nella cardiomiopatia aritmogena — ha precisato il pm di Modena Katia Marino —. Abbiamo così chiesto una consulenza per capire se era diagnosticabile e se ci sono responsabilità legate alle certificazioni d’idoneità”. La cardiomiopatia aritmogena è una malattia ereditaria che ha ucciso circa un atleta su quattro di quelli scomparsi prematuramente. Qualcosa si sa, dunque, di questa patologia, ma molto c’è ancora da sapere. E continua ad essere un male silenzioso che uccide all’improvviso e senza scampo.