Da quando si è diffusa la notizia della morte del missionario americano di 26 anni, John Allen Chau, ucciso a colpi di frecce dagli indigeni di North Sentinel, isola delle Andamane, il mondo è sempre più curioso di sapere qualcosa in più sulla tribù più isolata del pianeta, i Sentinelesi. Le autorità, intanto, confermano che sono sospesi i tentativi di recuperare il corpo del giovane a causa del pericolo che una tale operazione rappresenterebbe per gli indigeni e i soccorritori stessi. Il timore è che ulteriori incontri con persone esterne alla tribù possano esporre gli indigeni ad uno shock antropologico e sanitario, mentre allo stesso tempo si teme per l’incolumità delle autorità, che potrebbero fare la triste fine di John. I Sentinelesi, infatti, sono noti per attaccare chiunque cerchi di avvicinarsi a loro.
Eppure c’è stato un uomo che sembra essere riuscito non solo ad avvicinarsi all’isola, ma anche a fraternizzare con la tribù. Si tratta di TN Pandit, antropologo indiano, ora 84enne, che si è avvicinato all’isola nel corso di diversi decenni come capo regionale del Ministero degli Affari Tribali dell’India. Pandit crede che la tribù sia prevalentemente “pacifica” e che la loro cattiva reputazione sia stata fraintesa. “Durante le nostre interazioni, ci hanno minacciato ma non siamo mai arrivati al punto in cui sono andati avanti per ucciderci o ferirci. Ogni volta che si agitavano, noi facevamo un passo indietro. Sono molto rattristato per la morte di questo giovane che veniva dall’America. Ma ha commesso un errore. Ha avuto la possibilità di salvarsi. Ma ha insistito e l’ha pagato con la vita”, ha dichiarato Pandit alla BBC.

Pandit ha visitato North Sentinel per la prima volta nel 1967 come parte di un gruppo di spedizione. Inizialmente i Sentinelesi si sono nascosti nella giungla, ma nei viaggi successivi hanno lanciato frecce contro il gruppo. Questo ha fatto cambiate strategia al team che ha iniziato a portare doni come vasellame, noci di cocco e strumenti di ferro, e anche 3 uomini da un’altra tribù locale per aiutarli a comprendere il linguaggio e il comportamento dei Sentinelesi. Dopo molti tentativi di contatto lasciando doni, il gruppo alla fine è riuscito ad avere una vera e propria svolta nel 1991, quando la tribù si è pacificamente avvicinata a loro nell’oceano.
“Eravamo perplessi del perché ce lo avessero permesso. È stata una loro decisione incontrarci e l’incontro è avvenuto secondo le loro condizioni. Siamo saltati giù dalla barca in acque profonde, che raggiungevano il collo, distribuendo noci di cocco e altri doni. Ma non ci è stato concesso di mettere piede sull’isola”, ha raccontato Pandit. L’antropologo non è mai stato particolarmente preoccupato della minaccia di essere attaccato, ma ha ammesso di essere stato prudente quando si è ritrovato molto vicino alla tribù.
Una volta ha anche avuto uno scambio di particolare tensione con un giovane componente della tribù. “Quando stavo donando i cocchi, sono rimasto un po’ separato dal resto del mio team e ho iniziato ad andare più vicino alla spiaggia. Un giovane Sentinelese ha fatto una smorfia, ha preso il suo coltello e ha fatto il gesto che mi avrebbe tagliato la testa. Ho richiamato immediatamente la barca e mi sono ritirato subito. Il gesto del ragazzo è significativo. Mi ha chiarito che non ero il benvenuto”, ha aggiunto Pandit.
Da allora il governo indiano ha abbandonato le spedizioni per consegnare doni, come quelle a cui ha preso parte Pandit, che rimane fermamente convinto del fatto che la tribù non dovrebbe essere etichettata come ostile, considerandolo come il “modo sbagliato di guardare alla cosa”. “Noi siamo gli invasori qui. Siamo quelli che cercano di entrare nel loro territorio. I Sentinelesi sono un popolo pacifico. Non cercano di attaccare le persone. Non visitano le aree vicine per causare problemi. Questo è un raro incidente”, ha concluso. Pandit crede che le missioni per consegnare doni alla tribù dovrebbero essere ripristinate, se condotte in maniera rispettosa: “Dovremmo rispettare la loro volontà di essere lasciati soli”.