I circa 200 Paesi alla COP24, il summit sul clima delle Nazioni Unite, sono giunti ad un accordo su regole universali e trasparenti su come le nazioni possano ridurre le loro emissioni di gas serra e contenere il riscaldamento globale, mettendo in atto i principi dell’Accordo di Parigi del 2015. Ma per la frustrazione degli ambientalisti e di un gruppo di Paesi che chiedevano obiettivi più ambiziosi, i negoziatori hanno rimandato le decisioni su altre 2 importanti questioni al prossimo anno nel tentativo di arrivare ad un accordo.
Il summit in Polonia ha avuto luogo in un contesto di crescente preoccupazione tra gli scienziati sul fatto che il riscaldamento globale sulla Terra stia avanzando più velocemente di quanto i governi vi stiano reagendo. Lo scorso mese, uno studio ha svelato che il riscaldamento globale peggiorerà i disastri naturali, come gli incendi mortali della California e i potenti uragani che quest’anno si sono abbattuti sugli Stati Uniti. E una recente relazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha concluso che, nonostante sia possibile contenere il riscaldamento globale a 1,5°C entro la fine del secolo rispetto ai livelli pre-industriali, questo richiederebbe una drammatica revisione dell’economia globale, incluso l’abbandono dei combustibili fossili.
Allarmati dagli sforzi per includere questo nel testo finale del meeting, USA, Russia, Arabia Saudita e Kuwait, tutte nazioni che esportano petrolio, hanno bloccato il sostegno alla relazione dell’IPCC. Questo ha creato tumulti da parte dei Paesi più vulnerabili, come le piccole nazioni insulari, e dei gruppi ambientalisti. Il testo finale del meeting dell’ONU omette un precedente riferimento a specifiche riduzioni delle emissioni di gas serra entro il 2030 e semplicemente accoglie “una tempestiva realizzazione” della relazione dell’IPCC, ma non le sue conclusioni.
Gli intoppi dell’ultimo minuto hanno costretto i negoziatori a proseguire il lavoro oltre il tempo stabilito, dopo che si era giunti alla fine della conferenza senza un accordo. Uno dei punti più importanti era come creare un mercato efficiente di crediti di carbonio. Gli economisti ritengono che un sistema di scambio internazionale possa essere un modo efficace per ridurre le emissioni di gas serra e raccogliere fondi per delle misure volte a contenere il riscaldamento globale. Ma il Brasile voleva mantenere i cumuli di crediti di carbonio che aveva messo insieme sotto un vecchio sistema che per i Paesi sviluppati non era trasparente né credibile.
Tra i Paesi che più si sono opposti, ci sono gli Stati Uniti, nonostante la decisione del Presidente Trump di ritirarsi dall’Accordo di Parigi e di promuovere il carbone come una fonte di energia. “In generale, il ruolo degli USA è stato in un certo qual modo schizofrenico, sostenendo il carbone e non la scienza da un lato e lavorando sodo per ottenere forti regole sulla trasparenza”, ha spiegato Elliott Diringer del Center for Climate and Energy Solutions, think tank di Washington. Quando si è trattato di colmare delle lacune che avrebbero potuto permettere ai Paesi di venir meno ai loro impegni per ridurre le emissioni, “gli Stati Uniti hanno attaccato in maniera più decisa di chiunque altro per regole di trasparenza che mettessero tutti i Paesi sotto lo stesso sistema, e ci sono ampiamente riusciti”. Nathaniel Keohane, esperto di politiche sul clima dell’Environmental Defense Fund, ha fatto notare che la svolta nelle conferenze di Parigi del 2015 è arrivata solo quando USA e Cina sono stati d’accordo su un comune schema di trasparenza.
Tra i risultati chiave raggiunti in Polonia c’è l’accordo su come i Paesi debbano riportare le loro emissioni di gas serra e gli sforzi attuati per ridurle. Anche i Paesi più poveri hanno assicurato di raggiungere una maggiore prevedibilità sul supporto finanziario per aiutarli a ridurre le emissioni, adattarsi agli inevitabili cambiamenti, come l’innalzamento del livello del mare, e pagare per i danni che si sono già verificati. “La maggior parte del regolamento per l’Accordo di Parigi è stata creata. Ma il fatto che i Paesi abbiano dovuto essere trascinati a scalciare e urlare fino alla fine dimostra che alcune nazioni non si sono ancora svegliate alla chiamata urgente della relazione IPCC” sulle disastrose conseguenze del riscaldamento globale, ha dichiarato Mohamed Adow, esperto di politiche sul clima di Christian Aid. Alla fine, la decisione sui meccanismi di un sistema di scambio delle quote di emissione e sull’innalzamento delle ambizioni è stata posticipata al meeting del prossimo anno.