Prima che le loro vite finissero in una trappola mortale sott’acqua, prima che in centinaia si mettessero in fila su una spiaggia libica per imbarcarsi su un battello senza ancora, i giovani uomini dei villaggi inariditi del Sahel avevano dei nomi. Due investigatori forensi, uno che gira in lungo e in largo per l’Africa e l’altra in un laboratorio universitario italiano, sono impegnati nella missione contro ogni probabilità di mantenere la promessa dell’Italia di scoprire questi nomi. Stanno cercando di recuperare le identità dei migranti morti quando un peschereccio sovraccaricato è affondato al largo della costa della Libia il 18 aprile del 2015, in quello che è il naufragio più mortale che si ricordi nel Mediterraneo.
La promessa era stata fatta prima che l’Europa si ribellasse ai migranti ed è diventata sempre più difficile da mantenere. Avvicinandosi alla prima identificazione formale, uno dei due investigatori ha compiuto una devastante scoperta: il peschereccio non trasportava 800 persone, come inizialmente creduto, ma quasi 1.100.
Improvvisamente ci sono centinaia di passeggeri in più da identificare, da aggiungere all’instancabile lavoro di 3 anni che ha già superato i limiti della scienza forense e ha testato sia quelli dell’investigatore peruviano con esperienza nella violazione dei diritti umani che della patologa italiana che si è offerta volontaria al progetto. La storia del peschereccio e dei suoi passeggeri riflette il modo in cui i migranti possono semplicemente sparire nel mondo, a volte senza lasciare traccia. Nel momento in cui l’immigrazione globale è all’apice di tutti i tempi, l’Associated Press ha scoperto che dal 2014 sono almeno 62.284 i migranti morti o scomparsi nel mondo. Questa storia dimostra anche quanto sia difficile documentare questi morti e questi dispersi.
Nel 2015, l’allora Premier Renzi ha impegnato l’Italia a trovare i nomi di coloro che sono morti nel naufragio del 18 aprile. C’è stato “un breve periodo di luce” quando le agenzie italiane hanno cooperato per recuperare i corpi e iniziare il processo di identificazione, secondo Cristina Cattaneo, l’investigatrice italiana, che lo definisce “un momento magico”. Da allora i governi hanno tagliato i fondi e le operazioni nel Mediterraneo sono state interrotte. Molti italiani si interrogano sul bisogno di identificare dei corpi quando hanno già “una tomba in fondo al mare”, ha detto Roberto Di Bartolo, l’ingegnere che hai guidato i vigili del fuoco nelle operazioni di recupero. “Ma se questa barca non fosse stata piena di gente dall’Africa ma di persone provenienti dagli Stati Uniti, dall’Australia o dal Giappone, avremmo fatto qualsiasi cosa per tirare fuori questi corpi e scoprire la loro identità, per dare un nome a queste persone, perché erano persone”, ha continuato Di Bartolo.
I migranti del peschereccio avevano iniziato il loro viaggio in circa 20 Paesi, dal Bangladesh alla punta occidentale della Mauritania, secondo le informazioni dei due investigatori, dai documenti del governo italiano e dalle famiglie che temono che i loro cari fossero tra i passeggeri. Molti provenivano dalla regione africana del Sahel, dove si incontrano Senegal, Mali e Mauritania. Il figlio di Cheikh Fofana aveva telefonato intorno a quel momento per dire che sarebbe presto partito per l‘Europa. Fofana lo aveva avvisato di aspettare una barca più grande che potesse sostenere la furia del mare: “Gli ho detto di non prendere un’imbarcazione improvvisata, è molto pericoloso, è rischioso perché in mare non ci sono rami a cui aggrapparsi”. Il figlio, Tidiane, rispose che aveva già aspettato troppo ma che avrebbe cercato di prendere un’imbarcazione più grande. Quella è stata l’ultima volta in cui hanno parlato. Tidiane è sparito insieme ad altri due giovani della città. Non si sa se fossero tra le 12 file di uomini, 100 per fila, che si sono messi in coda sulla spiaggia il giorno prima che il peschereccio lasciasse la Libia.
All’ultimo minuto, arrivò un camion con altri 200 uomini dall’Africa orientale. Avevano pagato un prezzo superiore e per questo avevano la precedenza per imbarcarsi. Sul peschereccio non ci stava più nessuno, nonostante gli scafisti avessero cercato di far salire qualche altra persona. L’imbarcazione sovraccaricata percorse 142km dalla costa libica prima di iniziare ad affondare. Si scontrò con un mercantile che stava cercando di andare in suo soccorso ed affondò, portando quasi tutto il suo carico umano sul fondo del Mediterraneo. 24 corpi furono recuperati dall’acqua e portati nella vicina Malta. Ma l’isola non accettò i 28 sopravvissuti, che furono poi portati dalla Guardia Costiera italiana al porto di Catania. La barca attraccò nel mezzo della notte, quando una folla di volontari lanciò fiori e consegnò ai sopravvissuti generi di conforto.
Nei giorni seguenti, i pochi sopravvissuti chiamarono casa e la notizia della tragedia si diffuse come sabbia nel deserto. In quel momento, Fofana richiamava il figlio. Rispose uno sconosciuto che disse che Tidiane era partito per l’Italia. La famiglia, allora, decise di visitare diverse guide spirituali nella speranza di conoscere il destino di Tidiane. Uno disse soltanto che il figlio era in uno “stato di oscurità”. “So che se è morto, non c’è niente che io possa fare, per volere di Dio. Ma fatemi sapere: è vivo? È morto? È un dubbio che mi assilla”, sono le parole di Fofana, con il viso afflitto dall’angoscia.
Ci è voluto un anno per sollevare lo scafo e portarlo in Italia, al costo di 9,5 milioni di euro. Prima che collegassero le pulegge alla fragile imbarcazione, i sommozzatori a lavoro a 370 metri di profondità, lasciarono una corona di fiori sul ponte. L’operazione per riportare il peschereccio in superficie durò 20 ore e il video della marina finì in televisione. Il peschereccio penzolava da un’enorme imbracatura prima di essere posato al porto di Melilli, in Sicilia, dove i migranti avevano sperato di arrivare all’inizio del loro viaggio. Ed ecco che entra in gioco Cattaneo, la patologa più conosciuta d’Italia. Per la paura di volare, aveva preferito 13 ore di viaggio tra treno e traghetto piuttosto che un volo da 90 minuti. Era impavida quando si confrontò direttamente con la morte.
Mentre i vigili del fuoco indossavano tute di protezione per possibili pericoli biologici, Cattaneo portava jeans e maglietta, con un paio di guanti di lattice come unica protezione. La sua sicurezza tranquillizzò tutti. “Ho trovato davanti a me un tappeto di sagome umane che si estendeva in tutta l’area della stiva, quasi tutte con il viso rivolto verso il basso, alcune in posizione fetale, alcune gonfie dalla putrefazione, rese umane dai capelli, dai guanti, dalle maglie e dalle scarpe che indossavano”, scrive Cattaneo nel suo libro “Naufraghi senza volto”, pubblicato quest’anno. I corpi erano ammassati in 5 metri quadrati, “come una nave di schiavi”, dice Di Bartolo. “Per rispetto, nessun vigile del fuoco ha mai calpestato un corpo”, ha aggiunto. Nel laboratorio di Cattaneo, 50 patologi e investigatori forensi di 12 università italiane lavoravano in rotazione per estrarre e sequenziare il DNA dei corpi o i frammenti che emergevano dal mare. I patologi chiudevano sacchetti di plastica con gli effetti personali, abbinandoli ai numeri dei sacchi mortuari nel miglior modo possibile.
Mentre Cattaneo contava i corpi, 500 dal settembre 2016, il procedimento giudiziario è andato avanti. Il capitano tunisino del battello è stato condannato per omicidio colposo, tratta di esseri umani e a 18 anni di prigione. Il suo compagno siriano ha ricevuto 5 anni.
Il peschereccio non aveva un’ancora, il “capitano” non aveva idea di cosa stesse facendo e l’imbarcazione era troppo traballante per sostenere le onde o il peso di centinaia di uomini a bordo. Le indagini dell’ONU e dell’Europa in seguito hanno svelato che il capo dell’operazione era un trafficante libico soprannominato “Il Dottore”. Si ritiene che abbia inviato 45.000 migranti in Europa solo nel 2015 ed è tristemente conosciuto per la sua crudeltà e la debolezza delle sue imbarcazioni. Non è mai stato arrestato.
Nel 2016, le morti di migranti nel Mediterraneo sono salite ad oltre 5.100. Alla fine, l’Italia ha contato 547 vittime del naufragio più 325 teschi che Cattaneo tiene nel suo laboratorio per studiarli. Nel suo libro, racconta per la prima volta i sospetti che siano oltre 1.000 le persone morte nella barca, sulla base dei racconti dei sopravvissuti e di ciò che lei stessa ha visto sul relitto. Per trovare le famiglie, l’Italia si è rivolta a Jose Pablo Baraybar, l’antropologo forense peruviano del Comitato Internazionale della Croce Rossa che indaga sulle violazioni dei diritti umani nel suo Paese ma anche ad Haiti, Ruanda e nei Balcani. Ha iniziato con i nomi di 27 giovani della Mauritania, le cui famiglie li consideravano dispersi più o meno dall’aprile del 2015.
Così si è ritrovato nel villaggio di Melga lungo il letto secco del fiume Senegal, armato di tamponi per i campioni di DNA e di una lavagna bianca. Seduto per terra, incontrando le famiglie che volevano sapere il destino dei loro cari, Baraybar non aveva delle facili risposte: “Non puoi solo dir loro una storia e non puoi falsificare chi sei. Non sei lì per portare un sacco mortuario o denaro”. Uomini e donne hanno permesso allo staff della Croce Rossa di prelevare il loro DNA e hanno affidato a Baraybar altri nomi. I 27 nomi hanno portato ad altri 40 in Mauritania per cercare di abbinare i campioni di DNA sequenziati da Cattaneo in Italia. Con le informazioni raccolte, Baraybar è stato in grado di tracciare connessioni tra i giovani che avevano viaggiato verso nord alla ricerca di una vita migliore, scoprendo nomi di parenti, amici, conoscenti e persino scafisti.
Questo lo ha portato al suo ultimo viaggio in Senegal, dove ha confermato dettagli cruciali sulla barca. 3 delle file di 100 migranti che attendevano sulla spiaggia non si sono imbarcate a causa dell’arrivo dei 200 migranti dall’Africa orientale. Questo significa che ci sono famiglie di decine di uomini scomparsi nel 2015 che si stanno interrogando sul loro destino. “Le famiglie sono importanti e non sapere uccide”, dice Baraybar. E Mariama Konte conosce bene il prezzo che le famiglie pagano quando i propri cari spariscono per emigrare. Suo suocero è morto di dolore dopo che il figlio, marito di Konte, è scomparso nello stesso periodo del naufragio. Konte, che ha sposato Abdrahamane quando aveva 12 anni e lui 21, sta subendo le conseguenze della decisione della famiglia di piangere la sua morte dopo quasi 4 anni di attesa. Amici e vicini hanno detto loro che si sarebbero sentiti meglio se avessero tenuto la cerimonia, così come fatto da altre 5 famiglie dei dispersi. Quindi qualche settimana fa, la famiglia ha sacrificato una pecora e Konte ha indossato un velo di colore giallo che la identifica come vedova. Indosserà gli stessi vestiti per 4 mesi e 10 giorni, lavandoli sono il venerdì di ogni settimana. Starà nell’edificio della famiglia e consumerà i suoi pasti da sola. Poi, secondo tradizione, probabilmente sposerà uno dei fratelli dello marito defunto.
Il governo italiano non ha voluto sostenere il piano di Cattaneo per trasferire il peschereccio a Milano. Nel 2018, il numero di migranti arrivati illegalmente in Europa dovrebbe raggiungere il livello più basso in 5 anni. Baraybar e Cattaneo dichiarano che sono vicini alla loro prima identificazione: un solo nome tra quasi 1.100 morti in un singolo naufragio, in un anno che vide almeno 211 barche affondare nel Mediterraneo. Per Baraybar è quasi una “missione impossibile”. “Cosa puoi restituire a queste persone che hanno perso tutto?”. Solo i nomi di chi è scomparso.