Circa 1/3 della frutta e verdura consumata dagli inglesi viene dall’Unione Europea dove cresce il rischio dei dazi che potrebbero scattare in caso di mancato accordo sulla Brexit, con un effetto dirompente sui mercati comunitari. E’ l’allarme che arriva dal Fruit Logistica di Berlino la principale fiera internazionale di settore in Europa dove il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini ha incontrato gli operatori italiani, i piu’ presenti all’evento. Nel Regno Unito si producono – spiega Coldiretti – appena l’11% della frutta e il 42% della verdura consumate annualmente dagli inglesi che sono costretti a una pesante dipendenza dall’estero che sale addirittura al 100% nel caso delle arance, all’80% per i pomodori e al 69% delle mele. Si tratta dunque di uno sbocco di mercato determinante per molti Paesi europei a partire dall’Italia che potrebbe improvvisamente restringersi in caso di “hard Brexit”, l’uscita dall’Europa senza accordo.
A spaventare – sottolinea la Coldiretti – sono, in particolare, gli effetti degli eventuali i dazi e dei ritardi doganali che scatterebbero per il nuovo status di Paese Terzo rispetto all’Unione Europea, con un aumento della tasse e dei prezzi dei singoli prodotti ortofrutticoli fino al 17% che determinerebbe il crollo degli acquisti. L’ortofrutta fresca e trasformata è il secondo prodotto italiano più esportato in Inghilterra dopo il vino, per un valore che nel 2018 è stato pari a 668 milioni di euro, secondo proiezioni Coldiretti su dati Istat, in calo del 3% rispetto all’anno precedente. Per la frutta, in cima alla classifica dei prodotti più venduti ci sono mele, kiwi e uva da tavola. Negli ortaggi primeggiano – precisa la Coldiretti – i pelati e delle polpe di pomodoro la cui incidenza delle vendite in Gran Bretagna è pari al 20% del totale delle esportazioni italiane.
Il pericolo è che, a causa dell’aumento delle tariffe, frutta e verdura italiane – denuncia Coldiretti – possano essere sostituite sugli scaffali inglesi da prodotti provenienti da altri mercati a partire da quelli africani, come il Sud Africa, già il secondo esportatore di frutta fresca nel Regno Unito dopo la Spagna, o il Kenya. Anche Marocco ed Egitto stanno aumentando le esportazioni di ortofrutta come pomodori ed arance in Gran Bretagna. Prodotti che, peraltro, non rispettano le stesse regole che valgono per quelli italiani in materia di sicurezza ambientale e della salute e rispetto dei diritti dei lavoratori.
Senza accordo, un problema riguarda anche la tutela dei prodotti a denominazione di origine Dop/Igp con l’Italia che puo’ contare su 112 ortofrutticoli (Dop/Igp) che rischiano però di non venire piu’ protetti dalle imitazioni in Gran Bretagna che – continua la Coldiretti – potrebbe diventare un territorio franco per l’arrivo del falso Made in Italy.
Il rischio è quello di aggravare una situazione già difficile per il settore con le esportazioni di ortofrutta Made in Italy sono crollate del 12% nel 2018 su valori minimi dell’ultimo decennio attorno ai 4 milioni di tonnellate, secondo le proiezioni Coldiretti. Una crisi determinata dal fatto che l’Italia – continua la Coldiretti – sconta un ritardo organizzativo, infrastrutturale e diplomatico che rappresenta un freno alla crescita e alla possibilità di penetrare nelle nuove economie emergenti, soprattutto dell’oriente, rimanendo così fortemente dipendente, per alcune produzioni in modo esclusivo, dalla vecchia Europa. I costi della logistica incidono dal 30 al 35 per cento sul totale dei costi per frutta e verdura secondo una analisi della Coldiretti su dati Ismea. Alle problematiche legate alla logistica, alle barriere fitosanitarie e alla burocrazia si aggiungono le scelte di politica generale che hanno spesso usato il settore agricolo come merce di scambio come nel caso dell’embargo della Russia deciso come ritorsione alle sanzioni Europee.
“La mancanza di un accordo è lo scenario peggiore perché rischia di rallentare il flusso delle ma a preoccupare è anche il rischio che con l’uscita dall’Unione Europea si affermi in Gran Bretagna un clima sfavorevole all’esportazioni agroalimentari italiane” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare la necessità di “superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse per la promozione del vero Made in Italy all’estero puntando a un’Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo sul modello della Sopexa e ad investire sulle Ambasciate, introducendo nella valutazione principi legati al numero dei contratti commerciali.” A livello nazionale – conclude Prandini – serve un task-force che permetta di rimuovere con maggiore velocità le barriere non tariffarie che troppo spesso bloccano le nostre esportazioni ma anche trasporti efficienti sulla linea ferroviaria e snodi aeroportuali per le merci che ci permettano di portare i nostri prodotti rapidamente da nord a sud del Paese e poi in ogni angolo d’Europa e del mondo.