Era il 28 aprile 1945 quando Benito Mussolini fu ucciso, probabilmente dal partigiano Walter Audisio, che lo fucilò insieme alla sua amante Claretta Petacci e poi ne trasportò a Milano i corpi, insieme a quelli di altri fascisti e repubblichini. Mussolini era stato catturato il 27 aprile dalla 52sesima Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”, a Dongo, un piccolo comune sulla costa nord-occidentale del lago di Como, da dove l’ormai ex dittatore sperava di fuggire, raggiungendo Como e poi la Svizzera. Ancora fino al 18 aprile Mussolini era rifugiato al Palazzo Feltrinelli di Gargnano, comune del bresciano, da dove aveva guidato la Repubblica Sociale Italiana, nota anche come Repubblica di Salò.
A causa delle insurrezioni del 25 aprile, poi, decise di scappare per raggiungere la Svizzera e poi probabilmente la Germania. Mussolini, la Petacci e uomini e donne che li accompagnavano passarono da Menaggio e Grandola, sul lago di Como, decidendo di aggregarsi a un convoglio tedesco di circa 200 soldati e alcune decine di autocarri, fingendosi tedeschi anch’essi. Nel pomeriggio del 27 aprile Mussolini arrivò a Dongo, ma il convoglio sul quale viaggiava fu fermato durante un controllo da parte dei partigiani: Mussolini fu subito riconosciuto, disarmato, arrestato e fucilato.
Su come si siano svolti i fatti e sui reali mandanti dell’esecuzione ci sono tante interpretazioni che si susseguono ormai da decenni, ma è probabile che proprio versione più nota sia quella più corretta, come sembra confermato dal ritrovamento di alcuni nuovi documenti negli archivi del Pentagono a Washington. Si è parlato dell’intervento di agenti segreti inglesi incaricati di uccidere Mussolini, al fine di recuperare un carteggio tra Mussolini e il Primo Ministro inglese Winston Churchill, tesi alla quale gli storici si sono sempre opposti, probabilmente a ragione.
Ciò che appare certo è che Mussolini fu fucilato da un commando guidato dal colonnello Valerio, ma e verosimile che la dinamica dell’esecuzione non si saprà mai. E’ probabile che i tre ufficiali del commando partigiano abbiano sparato, ma i punti interrogativi sono ancora tanti: mitra inceppati, l’esigenza di far assumere i meriti e gli oneri dell’operazione al colonnello Valerio, ovvero l’unico dei tre che disponeva di un mandato ad operare da parte del Comitato Nazionale di Liberazione Alta Italia. I dubbi su chi abbia effettivamente sparato per primo, dunque, restano e probabilmente resteranno irrisolti.
In merito all’impiccagione a testa in giù e all’esposizione dei corpi ormai privi di vita e martoriati in piazzale Loreto si è discusso tanto nel corso dei decenni, e se ne discute ancora, in un vorticoso scambio di opinioni tra esperti e meno esperti che, è certo, non troverà mai un’idea e un’interpretazione univoca.