Frane e alluvioni saranno sempre più frequenti in Italia: “Riusciremo ad essere pronti prima della prossima catastrofe?”

E' necessaria una adeguata politica di informazione per preparare le persone ad agire in maniera corretta e tempestiva, per intervenire prima che sia troppo tardi
MeteoWeb

I cambiamenti climatici, le temperature e i fenomeni sempre più estremi che vediamo tutti i giorni anche nel nostro Paese stanno finalmente portando alla ribalta e all’attenzione dell’opinione pubblica un problema che affligge l’Italia da sempre, ovvero quello dei rischi idrogeologici.

Frane, erosione del suolo, valanghe e alluvioni sono ormai diventate una costante, ogni anno, in diverse regioni italiane, con evidenti conseguenze più o meno gravi. Da anni ormai gli esperti, geologi in primis, cercano di sensibilizzare in tal senso i cittadini ma soprattutto le istituzioni, in maniera tale da favorire l’attivazione di politiche di controllo e di prevenzione in caso di catastrofi naturali.

Sul tema si è espresso più volte il prof. Antonio Moretti, che in un articolo pubblicato su Newstown, si è chiesto cosa è possibile fare, e se è possibile prevenire gli effetti catastrofici delle grandi frane.

Oggi le moderne tecniche di telerilevamento e le migliori conoscenze litostratigrafiche sui corpi detritici stanno rivelando un numero sempre più consistente di grandi frane in roccia (si stima il 4% del territorio delle Alpi), ed abbiamo anche visto come molte di queste siano da riferire a tempi relativamente recenti (migliaia o centinaia di anni) così che si comincia ad avere una percezione reale del potenziale rischio che esse presentano” scrive il prof. Moretti.

La dimensione e la quantità di energia dei grandi fenomeni franosi in roccia è enormemente superiore alle possibilità dell’uomo di porre in opera qualsiasi strategia di controllo degli eventi. Quando la frana comincia la fase di scivolamento rapido è oramai completamente inutile ogni strategia di protezione o di fuga. Tuttavia la meccanica dei fenomeni franosi è oggi sufficientemente ben conosciuta da rendere possibile individuare i movimenti precursori e calcolarne traiettoria, velocità di caduta ed effetti sul territorio e sugli insediamenti antropici – precisa il geologo -. In alcuni casi la frana, come quella di monte Granier, può essere preceduta da piogge di particolare intensità che rendano instabili gli strati di base. Anche nel caso di grandi frane “asciutte” il movimento comincia lentamente, ma bastano pochi metri di scorrimento lento che una grande frane rocciosa può liberare per attrito il calore necessario a rendere instabili gli strati basali del corpo di frana, così che questa può rapidamente accelerare fino a raggiungere centinaia di km/ora, come nel caso di Elm o del Vajont”.

Il Vajont rimane l’emblema di un sistema tecnico e politico irresponsabile, arrogante ed incapace di prendere le decisioni necessarie ogni qualvolta si presenti un’emergenza diversa dall’ordinaria gestione. Non sto parlando di corruzione o altro, quelle le do per scontate e le inserisco tra i parametri tecnici come l’accelerazione di gravità ed il coefficiente di attrito – chiosa l’esperto -. Ciò che deve farci riflettere è che i tecnici, gli ingegneri ed i geologi che progettarono e seguirono lo svolgersi degli eventi della purtroppo famosa diga erano i migliori disponibili sul mercato, competenti, preparati e certamente in buona fede. Avevano tutti gli elementi necessari per calcolare l’entità, la traiettoria e la velocità della caduta della frana: le formule di Heim sulle velocità di caduta, che abbiamo già incontrato ad Elm, erano già stare scritte da 50 anni. Il volume della frana (forse qualcuno ricorderà la famosa “frattura ad M”, ben visibile anche in fig. 11) era stato calcolato con precisione (300 milioni di metri cubi); in più, pochi anni prima, ennesimo inutile monito alla stupidità umana, in un lago artificiale poco distante il custode della diga era stato travolto ed ucciso da un’onda di 25 metri di altezza causata da una piccola frana caduta nell’invaso. Nonostante quindi gli elementi conoscitivi per valutare e prevenire il disastro ci fossero stati tutti, le cose si svolsero in modo ben diverso“.

Tecnici ed Ingegneri, secondo l’italica regola del “io speriamo che me la cavo”, avevano previsto (o forse sperato?) che la frana sarebbe scesa a velocità molto più bassa di quanto indicato dalle formule di Heim, addirittura si sarebbe dovuta “sedere su se stessa” nelle testuali parole di uno dei progettisti. I tecnici e lo stesso ingegnere che presiedeva all’invaso – sottolineato il prof Moretti – erano talmente certi che l’onda sarebbe rimasta contenuta in poche decine di metri, che quando la frana cominciò ad accelerare rimasero sulla diga per controllare le operazioni da quella che credevano fosse una postazione di sicurezza. Come sappiamo, l’onda passò oltre 200 metri sopra le loro teste”.

Proiettando dunque questi eventi e questi dati ai giorni nostri, Antonio Moretti indica l’unica via percorribile in un’ottica di prevenzione. “Nonostante questi drammatici e ben evidenti moniti della storia anche noi, oggi, in perfetta buona fede, tendiamo ad ignorare e rimuovere dalla nostra coscienza le situazioni di pericolo più gravi ed evidenti ritenendole al di sopra della nostra portata, affidandoci alla protezione superiore di un indaffaratissimo S.Gennaro. Io speriamo che me la cavo vale anche per i terremoti, le alluvioni, i disastri da inquinamento, il degrado delle risorse ambientali, i cambiamenti del clima ecc. Del resto mettiamoci nei panni di chi ha la responsabilità politica di prendere le decisioni in caso di imminente calamità. Poniamo anche, per assurdo, che siano persone oneste e preparate, con uno staff di collaboratori efficienti. Che fare nel caso si manifestasse una situazione di pericolo grave ma non ancora immediato? Dare l’allarme tempestivamente, per avere il tempo di evacuare migliaia di persone? E se poi l’evento non accade? E se si aspetta l’ultimo minuto, per essere certi che l’evento accadrà a breve termine, chi convincerà migliaia o milioni di persone a fuggire rapidamente, magari abbandonando tutti i loro averi?

“Probabilmente la cosa migliore (l’unica?) da fare – conclude l’esperto – è che ciascuno si renda cosciente della vera consistenza del rischio, che la comunità appronti un piano di protezione civile realmente adeguato al tipo di pericolo e che gli amministratori della cosa pubblica facciano una adeguata politica di informazione per preparare le persone ad agire in maniera corretta e tempestiva. Piano piano, forse troppo lentamente, ci stiamo muovendo verso questo obiettivo. Riusciremo ad essere pronti prima della prossima catastrofe, o continueremo ancora ad essere balia di Santoni, Profeti di Sventura, Finti Scienziati, Truffatori e Farabutti vari che speculano sull’ignoranza dei più e si riempiono le tasche con le paure della gente?”.

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