Grazie a simulazioni di laboratorio descritte su “Science Advances” dai ricercatori della Macquarie University di Sydney, in collaborazione con l’Università Goethe di Francoforte e l’Università Johannes Gutenberg di Magonza, si è scoperto che le impurità presenti nei diamanti sono i resti di antichi fondali oceanici.
“C’era già una teoria secondo cui i sali intrappolati nei diamanti sarebbero residui di acqua marina, ma questa ipotesi non poteva essere verificata“, ha precisato il coordinatore dello studio, Michael Forster. “La nostra ricerca ha invece dimostrato che derivano proprio da sedimenti marini“, “abbiamo dimostrato che i processi che portano all’accrescimento dei diamanti sono guidati dal riciclo dei sedimenti oceanici nelle zone di subduzione” dove una placca della crosta terrestre scivola sotto un’altra.
Il team di esperti ha messo un campione di sedimenti marini in un contenitore insieme a della peridotite, la roccia più comune nella parte del mantello terrestre dove si formano i diamanti: il tutto è stato sottoposto ad alte temperature e a pressioni elevatissime, in modo da ricreare le condizioni presenti nel mantello terrestre.
Si è scoperto che a temperature comprese tra 800 e 1.100 gradi e a valori di pressione 40.000 volte superiori rispetto la pressione atmosferica (condizioni presenti a profondità di 120-180 km sotto la crosta terrestre) si formano sali di sodio e potassio molto simili a quelli presenti in tracce nei diamanti (per la presenza di queste impurità spesso non vengono usati nell’alta gioielleria ma impiegati come strumenti da lavoro).