Quattro anni fa lo scrittore Norman Ohler lo ha messo nero su bianco, raccontandolo nel suo “Der totale Rausch” (La totale euforia): Adolf Hitler e i componenti della Wehrmacht, dagli alti ufficiali ai soldati semplici, erano quasi perennemente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, che li rendevano non solo euforici, ma anche in grado di mantenere ritmi elevatissimi e quindi resistere a marce e battaglie estenuanti.
La droga veniva assunta sotto forma di una semplice pillola, il Pervitin, brevettata nel 1937 da Theodor Temmler, e somministrata ai soldati tedeschi da Theo Morell, medico del Führer. Metanfetamine, steroidi e altre sostanze vennero iniettate a Hitler, con delle siringhe, circa 800 volte in 1349 giorni, e oltre a ciò, come si legge nel libro di Ohler, nello stesso lasso di tempo avrebbe ingerito in totale più di mille pillole.
Quanto rivelato potrebbe modificare l’idea e la percezione, oggi, del quadro sociale in cui il Nazismo proliferò, e soprattutto potrebbe gettare nuova luce su una delle principali domande a cui da sempre gli storici hanno cercato di rispondere: come hanno potuto, Hitler e i suoi, ottenere un così alto consenso da parte dell’intera popolazione tedesca? A quanto pare tantissimi, nella Germania dell’epoca, assumevano il Pervitin, e non solo al fronte, dato che veniva venduto nelle farmacie come una semplice pillola che aiutava a combattere la depressione e funzionava da stimolante, sia per il corpo che per la mente. Dalle casalinghe agli studenti, dagli sportivi agli ufficiali della Wehrmacht, dunque, molti assumevano oppiacei e anfetamine giornalmente.
All’inizio della Seconda Guerra Mondiale la droga si diffuse così rapidamente tra i soldati che, secondo Ohler,
avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel corso delle battaglie che hanno piegato la Francia nel 1940 e la Polonia nel ’39. Per il capo dei medici del Reich, Otto Ranke, si trattava di «un farmaco militarmente prezioso», tanto da convincere i generali, tra cui Ernst Rommel che ne faceva uso personalmente, a distribuire Pervitin tra i militari. Il risultato è noto: truppe e mezzi tedeschi attraversarono le Ardenne senza mai fermarsi e senza alcun segno di cedimento, percorrendo in pochi giorni centinaia di chilometri. Nel maggio del 1940, ad Avesnes, distrussero completamente l’accampamento militare nemico. Secondo le testimonianze trovate da Ohler, i soldati francesi sarebbero rimasti sconvolti dallo stato di esaltazione degli inarrestabili crucchi. Ciò che non sapevano è che i tedeschi avevano un enorme vantaggio rispetto a loro: combattevano sotto l’effetto di metanfetamine.
Il libro, edito in Germania da Kiepenheuer & Witsch, sfaterebbe quindi in parte il mito del forte e invincibile esercito tedesco che non perdeva nessuna battaglia confermando, all’epoca, la folle teoria della superiorità della pura razza ariana, che per essere così “pura” doveva regolarmente fare uso di metanfetamine per stimolare mente e muscoli. Droghe che, a quanto pare, influirono anche sulle sconfitte finali subite dalla Germania, dato che la dipendenza divenne tale da arrivare ad essere una grave debolezza, rendendo ancora più insormontabili i problemi da affrontare durante la freddissima campagna russa, e sulle bollenti dune del deserto del Sahara.
E anche su Hitler, quasi alla fine della guerra, i segni di cedimento furono evidenti: il Führer era ridotto quasi a un rottame, stava perdendo i denti e le crisi di astinenza si facevano sempre più forti e devastanti, tanto da farlo arrivare a minacciare di morte persino il suo medico.
L’assunzione di droghe da parte del capo indiscusso del Terzo Reich influì, a quanto si legge nel clamoroso libro, anche sulle sorti dell’Italia. Pare infatti che 1943, quando Benito Mussolini si rese conto che restare a fianco della Germania avrebbe potuto portare l’Italia alla rovina, Hitler di persona lo raggiunse in Sicilia, dove a causa di un forte mal di stomaco, il dottor Morell gli iniettò un altro devastante medicinale contente oppio, l’Eukodal. Questo avrebbe dato al Führer una carica e un’euforia tali da renderlo il miglior avvocato della sua causa destinata a perdere, riuscendo così a convincere Mussolini a restare al suo fianco, e segnando per sempre le sorti dell’Italia e del mondo intero.