I vulcani danno vita, nutrono e aumentano la produttività: ecco perchè tanta gente vive in aree a rischio eruzione

"Oggi centinaia di milioni di persone popolano aree vulcaniche attive esponendosi in alcuni casi a rischi elevati"
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Quanto accaduto ieri allo Stromboli, con un parossisimo improvviso che ha colto di sorpresa i turisti e i residenti dell’isola, fa tornare alla ribalta un’atavica domanda che molti, in particolare chi vive in zone lontane dai vulcani, si pongono: ma perché c’è gente che vuole vivere in aree a rischio per via di vulcani attivi e pericolosi? Una domanda, questa, che non ha una sola risposta, ma ha un’origine ben precisa, e che affonda le proprie motivazioni nel lontano passato, ma anche nel presente.

Per rispondere a questa domanda è prima necessario comprendere una questione rilevante: i vulcani nutrono, danno vita e sono tra i fautori della nostra stessa esistenza.

neve VesuvioLo spiega bene il vulcanologo Salvatore Giammanco, esperto dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, in un approfondito e interessante articolo pubblicato nella sezione ambiente del sito dell’INGV. “I vulcani immettono nell’ambiente quasi quotidianamente elementi chimici utili, se non necessari, per la vita – scrive Giammanco –. Non è un caso, quindi, se oggi centinaia di milioni di persone popolano aree vulcaniche attive esponendosi in alcuni casi a rischi elevati. A titolo di esempio, nella cosiddetta Area Rossa attorno al Vesuvio risiedono circa 700.000 abitanti. La domanda che spesso viene posta a noi vulcanologi è: “Perché la gente vuole vivere su un vulcano attivo e potenzialmente pericoloso?” La risposta è molto semplice: il fattore principale che porta gli uomini a vivere su un vulcano attivo è l’eccezionale fertilità del suolo vulcanico“. 

Il suolo vulcanico, dunque, “permette una maggiore produttività agricola unita ad una superiore qualità dei prodotti della terra; basti pensare agli ottimi vini prodotti da uve coltivate nelle aree del Vesuvio e dell’Etna”, scrive ancora l’esperto. “C’è però anche un apporto più diretto di “nutrienti” che avviene sia attraverso la pioggia arricchita di elementi catturati nel pennacchio gassoso del vulcano sia attraverso la ricaduta di cenere vulcanica sulla superficie terrestre o marina. Nel primo caso, le goccioline di pioggia agiscono come dei veri e propri spazzini del cielo, poiché intrappolano particelle di aerosol presenti nel pennacchio vulcanico“.

etna
Credit: Boris Behncke

Nel caso dell’Etna – precisa Giammanco –, il vulcano attivo più alto in Europa, la quantità di elementi catturati dalla pioggia locale rappresenta solo una minima parte, stimata tra lo 0,1 % e il 5 %, della quantità totale emessa dal vulcano. La maggior parte degli elementi presenti nelle emissioni crateriche del vulcano non ricade infatti sulle sue pendici, ma viene trasportata a grandi distanze dalle correnti d’aria in alta quota e dispersa a scala regionale, continentale o addirittura globale. La quantità di elementi apportati dalla pioggia è tale da modificare in modo significativo la composizione chimica dei suoli e delle acque di falda del vulcano, che in tal modo si arricchiscono di sostanze molto spesso utili e nutritive per la vita vegetale e animale”.

E anche la cenere vulcanica è una vera e propria fonte di vita. “Dopo anche un breve contatto con acqua di mare, le ceneri vulcaniche dell’Etna rilasciano macro-nutrienti e metalli in traccia che diventano bio-disponibili per il fitoplancton marino, il quale “risponde” all’apporto di nutrienti in un paio di giorni e fino a qualche settimana con una fioritura più intensa – scrive ancora l’esperto -. Le stime sulla ricaduta di cenere vulcanica mostrano che la presenza di tali particelle può essere rilevata fino a 800 km dalla sorgente vulcanica, il che produce un impatto sulla quantità di nutrienti forniti al mare che risulta importante fino a centinaia di chilometri dal vulcano. In particolare, nutrienti fondamentali per l’ecosistema marino mediterraneo (quali l’azoto, il fosforo, la silice, il ferro e lo zinco) possono incidere sulla produttività primaria del mare fino a distanze di 700 km dall’Etna. Occorre considerare che il Mediterraneo è in genere un mare povero in nutrienticonclude Salvatore Giammanco, quindi il loro apporto da parte del vulcano risulta in questo senso provvidenziale”.

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