“Alcune grandi aziende argentine dedite alla produzione e alla lavorazione di carne sono legate alla deforestazione del Gran Chaco – la più grande foresta tropicale secca del Sud America e la seconda più grande foresta tropicale dell’America Latina dopo l’Amazzonia – ed esportano carne in Europa e Israele“: lo denuncia Greenpeace, che pubblica oggi il rapporto “Foreste al macello”, frutto di un’indagine durata oltre un anno.
Il Gran Chaco copre un’area di oltre 1,1 milioni di chilometri quadrati e interessa tre nazioni: Argentina, Paraguay e Bolivia. È la casa di 4 milioni di persone, circa l’8 per cento sono appartenenti a Popoli Indigeni; il loro sostentamento, la cultura e le tradizioni dipendono dalla foresta.
“Nel Gran Chaco si registra uno dei più alti tassi di deforestazione nel mondo, principalmente a causa dell’espansione indiscriminata delle piantagioni di soia geneticamente modificata e degli allevamenti” dichiara Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. “Questo problema è particolarmente evidente in Argentina, un Paese che si è affermato come importante produttore, consumatore ed esportatore di carne bovina e che attualmente è il sesto Paese al mondo sia per numero di capi di bestiame che per produzione ed esportazione di carne”.
Secondo i dati del ministero dell’Ambiente argentino, nel Paese, tra il 1990 e il 2014, sono stati distrutti 7.226.000 ettari di foreste, una superficie equivalente a Olanda e Belgio messi insieme. L’80 per cento di questa deforestazione si concentra in quattro province del nord del Paese: Santiago del Estero, Salta, Chaco e Formosa.
“Il giaguaro, un animale emblematico che un tempo popolava vaste aree del Centro e del Sud America, rischia di scomparire. Si stima che nella regione argentina del Gran Chaco ne rimangano meno di venti,” afferma Borghi. “Per salvarli, Greenpeace Argentina, rappresentata da un gruppo di avvocati, sta chiedendo alla Corte Suprema del Paese di riconoscere i diritti legali del giaguaro. Se entità inanimate come aziende e società possono vedere riconosciuti i propri diritti, anche le specie viventi presenti in natura dovrebbero avere questa possibilità”.
Nel 2018 l’Argentina è stata il secondo esportatore di carne in Europa, dopo il Brasile. Negli anni le esportazioni hanno avuto un trend gradualmente crescente. Secondo l’Eu Meat Market Observatory della Commissione Ue, nei primi due mesi del 2019 l’Argentina è stata il principale fornitore in Europa di carne bovina fresca e macinata. “Lo scorso anno l’Italia ha importato dall’Argentina 5.800 tonnellate di carne fresca, diretta principalmente in Emilia-Romagna, che ospita gran parte delle aziende di trasformazione e distribuzione di carne,” dichiara Borghi.
La situazione è però destinata a diventare ancor più allarmante. Recentemente, spiega Greenpeace, “l’Unione europea e il Mercosur – il gruppo composto da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, riuniti nel mercato comune dell’America meridionale – sono giunti a siglare un accordo di libero scambio dopo un negoziato avviato nel 1999. Attraverso questo accordo, i due blocchi sono determinati, fra l’altro, ad incrementare gli scambi aumentando l’importazione in Europa di materie prime agricole dal Sud America, con notevoli rischi per l’ambiente e i diritti umani. Tra i prodotti in questione ci sono infatti carne bovina, pollame e soia OGM (destinata alla mangimistica), prodotti che si collocano al primo posto fra le cause della distruzione delle foreste sudamericane.”
“Alle aziende che esportano e importano carne dall’Argentina chiediamo di rendere la propria filiera trasparente e libera dalla deforestazione e dalla violazione dei diritti umani. Anche l’Unione europea dovrà fare la sua parte, con una normativa in grado di garantire che i prodotti che acquistiamo in Europa non abbiamo avuto gravi impatti su ambiente e diritti umani in altre parti del Pianeta. Le foreste catturano circa un terzo dell’anidride carbonica rilasciata ogni anno a causa della combustione di gas, petrolio e carbone. Se vogliamo evitare l’aumento delle temperature oltre il grado e mezzo, dobbiamo esigere che ciò che resta delle foreste venga protetto,” conclude Borghi.