“Da che boschi marini si è staccato il ramo di corallo delle tue vene…”
Diceva Josè Saramago, in un esplicito riferimento all’essere umano come un agglomerato di frammenti di natura sparsi per il mondo. La natura non è sempre stata clemente con l’uomo, ma è certo che si sia sempre mostrata in tutta la sua immensa maestosità, in ogni angolo di paradiso che oggi abbiamo colonizzato e insidiato di marchingegni antropici. Uno di questi angoli di paradiso è sospeso nelle acque dell’Oceano Pacifico, adagiato sui fondali. Si tratta della Great Barrier Reef, la Grande Barriera Corallina.
La sua scoperta risale all’anno 1768, quando il navigatore britannico James Cook decise di imbarcarsi per il suo primo viaggio nel Pacifico a bordo della HM Bark Endeavour. A James Cook era stato anche affidato il compito di scoprire il continente meridionale, o Terra Australis, che, per coerenza scientifica dell’epoca, doveva esistere per equilibrare la massa terrestre dell’emisfero settentrionale. In questo modo, navigando in direzione sud-ovest da Tahiti, Cook scoprì la Nuova Zelanda, pur mettendoci sei mesi per stilarne la mappa.
Continuando il suo viaggio in direzione ovest, giunse finalmente alla costa sud-orientale dell’Australia, e nell’aprile del 1770 sbarcò a Botany Bay, denominata così da lui e dal naturalista Joseph Banks, che l’aveva seguito nella mastodontica impresa, a causa della flora fascinosa e singolare presente sulle sue coste. Arrivando a nord, Cook mantenne il percorso non troppo lontano dalla costa per delinearne con precisione geografica la mappa, ma, senza volerlo, s’inoltrò nei bassi fondali della laguna che divide le barriere coralline della costa, dai 16 ai 160 km di distanza. Tuttavia, l’imbarcazione s’incagliò e fu necessario tirarla in secca. Ci vollero all’incirca due mesi per riparare i danni della nave, ma quel tempo fu utile a Cook per elaborare maggiori informazioni sulla splendida barriera del posto.
Non solo Cook, ma anche altri si avventurarono nell’Oceano Pacifico per ammirare la Grande Barriera Corallina, da sempre considerata una delle meraviglie del mondo. Estesa per oltre 2.000 km, parallelamente alla linea costiera dell’Australia nord-orientale, è formata da 3.000 singoli banchi e isolotti di corallo strettamente connessi da “catene” naturali, ognuna a un diverso stadio di sviluppo, e divise da stretti canali difficilmente accessibili.
Peccato che la mano distruttiva dell’uomo sia arrivata anche lì: poco tempo fa, infatti, era stata diffusa la notizia che circa 1/3 della Grande Barriera Corallina rischiava di scomparire a causa del riscaldamento globale. Oggi, per fortuna, le immagini satellitari hanno catturato un’immagine a dir poco incredibile: a poche miglia dall’arcipelago di Tonga, nell’Oceano Pacifico, possiamo notare una massa galleggiante di pietra pomice, un tipo di roccia magmatica che viene alla luce solo nel caso si eruzioni vulcaniche.
La massa rocciosa in peregrinaggio nei mari non è solo un evento da non perdere per la sua singolarità, ma anche per il beneficio che porterà alla fauna marina, soprattutto ai nobili coralli della Grande Barriera Corallina australiana, che è stimato che l’isolotto in pietra pomice raggiunga nel giro di 12 mesi. E’ quasi comprovato che, nel corso dell’anno, i crostacei cirripedi, alghe, coralli, spugne e moltissimi altri animali s’insidieranno in colonie sulla superficie, “aggrappandosi” alla pietra pomice e espandendo i loro confini all’intero Oceano Pacifico.
Il vulcano che avrebbe dato vita all’isola è ancora senza nome, ma gli esperti sanno per certo che l’esplosione sotto i fondali marini è avvenuta all’inizio di agosto: L’equipaggio del catamarano australiano ROAM ha dichiarato che la pietra pomice si è praticamente adagiata su quasi tutto l’Oceano Pacifico. C’è da specificare che, però, non c’è alcun problema per le navi che solcano quei mari.
“Al momento la pomice è nuda e sterile, ma nelle prossime settimane inizierà ad attirare gli organismi”
Queste le parole del geologo Scott Bryan della Queensland University of Technology (QUT). Questa zattera oceanica pare sia arrivata nel momento giusto, con i fondali devastati e la fauna marina ridotta al soffocamento generale causa inquinamento: sembra che la natura stia riparando i danni dell’uomo, che, in una ribellione inaudita contro la sua genitrice, ha tentato indirettamente di asfissiare ogni vita verde e azzurra.