L’evoluzione dell’universo primordiale dipende fortemente dalle proprietà della prima generazione di stelle: prive di metalli e molto massicce, queste stelle costituiscono la cosiddetta Popolazione III. La loro vita, iniziata quando l’universo aveva un centinaio di milioni di anni, è stata molto breve e possono essere studiate soltanto indirettamente. Infatti, il materiale espulso dalle esplosioni di supernova è finito nelle nubi di gas a partire dalle quali si sono formate le stelle più vecchie a basso contenuto di metalli che possiamo osservare oggi.
E’ proprio di pochi giorni fa l’annuncio, su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, della scoperta della stella con il più basso contenuto di ferro mai individuata. Si tratta di Smss J160540.18-144323.1 (più brevemente Smss 1605-1443), una gigante rossa distante 35mila anni luce dalla Terra e scoperta mediante le osservazioni del telescopio SkyMapper in Australia. Grazie ad un contenuto di ferro di circa 1.5 milioni di volte inferiore a quello del Sole – spiega Marco Dian su Media INAF – la stella entra di diritto nel libro dei primati.
«È come una goccia d’acqua in una piscina olimpionica», commenta a proposito della quantità di ferro Thomas Nordlander, primo autore dello studio e ricercatore all’Arc Centre of Exellence for all Sky Astrophysics in 3D in Australia.
L’esistenza di stelle con un contenuto di ferro così basso era già stata confermata da diversi studi precedenti. Nel 2014 era stata scoperta Smss 0131-6708, una stella che sostanzialmente non mostrava alcuna presenza di ferro, fissando così un limite inferiore all’abbondanza del metallo nelle stelle. Il caso di SMmss 1605-1443 è tuttavia diverso: il ferro c’è, è stato individuato e misurato.
Ma non è solo il basso contenuto di ferro a rendere interessante la gigante rossa: la stella è anche relativamente ricca di carbonio e altri elementi come magnesio, calcio e titanio. Si ritiene che la loro origine sia dovuta alle stelle progenitrici di Popolazione III e alle loro esplosioni di supernova. Utilizzando simulazioni numeriche sugli elementi prodotti dalle supernove, i ricercatori hanno stimato una massa della stella progenitrice di circa dieci masse solari.
Un meccanismo che può spiegare questo strano rapporto di abbondanze è il cosiddetto mixing-and-fallback: quando la stella progenitrice esplose, l’energia rilasciata non fu sufficiente a liberare nel mezzo interstellare tutti gli elementi pesanti prodotti dalla supernova, così che la maggior parte di essi ricadde sulla stella di neutroni appena formata. Solo una piccola quantità di ferro riuscì a sfuggire dalla morsa gravitazionale della stella di neutroni. Assieme a un’enorme quantità di elementi leggeri come idrogeno ed elio, si venne così a formare Smss 1605-1443, la prima della seconda generazione di stelle.
«La buona notizia è che possiamo studiare le prime stelle attraverso le loro figlie», dice il professor Martin Asplund, co-autore della ricerca.
Future osservazioni con una risoluzione spettroscopica maggiore consentiranno di porre limiti più rigorosi sulla metallicità di queste stelle. Inoltre, si potranno individuare eventuali elementi chimici aggiuntivi, che consentiranno agli astronomi di comprendere meglio le proprietà delle stelle progenitrici di Popolazione III.
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society “The lowest detected stellar Fe abundance: the halo star SMSS J160540.18-144323.1” di Thomas Nordlander et al.