Resistenza agli antibiotici, l’esperto: “non esiste nessun batterio chiamato new Delhi, troppo allarmismo”

Non esiste alcun batterio new Delhi: l'intervento dell'esperto che fa chiarezza
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Si parla molto in questi giorni di quello che sta succedendo in Toscana per quello che in molti hanno definito “batterio new Delhi“, utilizzando secondo Francesco d’Aleo, specialista in Microbiologia e Virologia dell’Unità Operativa Semplice dell’Ospedale di Reggio Calabria, “titoli tanto sensazionalistici quanto sbagliati“. L’esperto spiega che “non esiste nessun batterio chiamato “new Delhi”, ma con questo nome si identifica una tipologia di enzimi che conferisce resistenza ad una classe particolare di antibiotici (i carbapenemi). Per farla semplice, i batteri sono dotati di un unico “cromosoma” (non è propriamente un cromosoma) in cui sono contenuti geni fondamentali per la vita del batterio; ma i germi sono molto furbi, ci sono da oltre 3 miliardi e mezzo di anni, ed hanno fatto sì che alcuni geni vengano contenuti in una struttura esterna al cromosoma che prende il nome di plasmide“.

Esistono e sono state identificate diverse tipologie di plasmide – prosegue d’Aleoma uno fra tutti è molto importante e viene definito “plasmide coniugativo”, ovvero i batteri che ne sono dotati possono “fare l’amore” e scambiarsi frammenti di DNA.  Ora immaginate che su questo plasmide (che è circolare) si inserisca un gene che conferisce una determinata resistenza ad un antibiotico, come nel caso del gene blaNDM che conferisce appunto resistenza ai carbapenemici che sono antibiotici ritenuti salvavita. Nel momento della coniugazione questo gene potrebbe essere trasmesso da un batterio ad un altro diffondendosi. Così si diffondono in parte i meccanismi (e i geni) di resistenza“.

La diffusione dei microrganismi multiresistenti, invece, è fondamentalmente diversa, poiché questi non volano essendo privi di ali e non camminano essendo privi di zampe si pensa che la principale fonte di diffusione siano le mani degli operatori sanitari e non solo, anche parenti, amici e chiunque venga a contatto con il malato. Ecco perché è fondamentale lavarsi le mani sia da parte degli operatori sia da parte di chiunque entri e soprattutto esca da una struttura sanitaria. Concludo dicendo che in Italia sono abbastanza diffusi gli enzimi che inattivano i carbapenemi (sino al 40% dei germi resistenti) ma sono di una classe differente da NDM, per il 90% infatti si tratta di KPC“.

 

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