Una ricerca internazionale massa a punto da esperti della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma ha dato il via a nuove possibilità per la cura della fibrosi polmonare idiopatica (IPF), una malattia rara la cui diffusione e’ pero’ destinata ad aumentare, complice l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle diagnosi precoci: pamrevlumab, un anticorpo monoclonale, rallenta la progressione della malattia bloccando una molecola chiave, il connective tissue growth factor (CTGF). Lo studio e’ stato pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet Respiratory Medicine ed e’ stato coordinato a livello globale dal professore Luca Richeldi, Direttore dell’Unita’ Operativa Complessa di Pneumologia del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Ordinario di Pneumologia all’Universita’ Cattolica campus di Roma. Il trial clinico ha arruolato 103 pazienti affetti da IPF in 7 Paesi e ha mostrato che il trattamento con una dose (30 mg per chilo di peso del paziente) di pamrevlumab per via endovenosa ogni 3 settimane per la durata di un anno rallenta la perdita di funzione respiratoria di circa il 60%, rispetto a una sostanza placebo. Inoltre il farmaco sembra avere effetti positivi sulla qualita’ di vita dei pazienti e sull’indice di fibrosi (che si usa per misurare la gravita’ della malattia).
Cos’è la fibrosi polmonare idiopatica
Si tratta di una malattia dei polmoni caratterizzata da una progressiva perdita della funzione respiratoria, che porta alla morte per insufficienza respiratoria in media dai 3 ai 5 anni dopo la diagnosi (purtroppo solo circa il 30% dei pazienti sopravvive 5 anni dopo la diagnosi, una prognosi peggiore della maggior parte delle patologie oncologiche). Si calcola che in Italia circa 5.000 nuovi casi di malattia siano diagnosticati ogni anno. Si tratta della forma piu’ grave tra le varie fibrosi polmonari e colpisce piu’ spesso individui di sesso maschile, ex fumatori, generalmente dopo i 55 anni di eta’.
Pur essendo considerata una malattia rara, l’IPF e’ la causa di morte in circa 20 persone ogni 100.000, con un trend in crescita negli ultimi anni. La causa della fibrosi polmonare idiopatica e’ tuttora sconosciuta, anche se alcuni fattori di rischio sono stati identificati, tra cui il fumo di sigaretta, il reflusso gastroesofageo, virus respiratori ed esposizioni a inquinanti ambientali. In alcuni casi esiste una familiarita’ e circa il 30% del rischio di ammalarsi e’ su base genetica. I sintomi principali sono la fatica a respirare (soprattutto a seguito di sforzi fisici) e la tosse secca. Il sospetto diagnostico viene posto in genere sulla base di un esame Tac ad alta risoluzione del torace. Attualmente sono disponibili due farmaci (nintedanib e pirfenidone) che rallentano la progressione della malattia (la velocita’ di perdita della funzione polmonare) di circa il 50%, anche se purtroppo nessuno dei due farmaci ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza o la qualita’ di vita dei pazienti. Pamrevlumab e’ un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega al CTGF, una delle molecole al centro del processo di deposizione del collagene.
Questo processo, coinvolto nel fisiologico meccanismo di cicatrizzazione dei tessuti, e’ anche responsabile dell’anomala deposizione di collagene nelle fibrosi polmonari. L’insieme dei risultati riportati in questo articolo sono la base dello studio di fase 3, denominato ZEPHYRUS, che arruolera’ a livello globale circa 600 pazienti in un disegno verso placebo per la durata di un anno. “Lo studio – conclude il professor Richeldi – che ha gia’ arruolato i primi pazienti e che auspicabilmente confermera’ i promettenti dati emersi dallo studio di fase 2, sara’ coordinato a livello mondiale dalla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS”.