Nella gestione del rifiuto organico l’Italia raggiunge performance di primissimo piano a livello europeo, ma è necessario strutturare in tutto il Paese filiere che garantiscano la corretta chiusura del ciclo, nonché sciogliere alcuni nodi – dalla carenza impiantistica agli aspetti autorizzativi – che frenano il pieno sviluppo del settore. E’ quanto emerso oggi dal Convegno “La filiera della gestione dei rifiuti organici: confronto tra esperienze internazionali”, organizzato da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) e dal Comitato Tecnico Scientifico di Ecomondo nel corso della Fiera riminese.
IL QUADRO ITALIANO: RAGIONARE IN TERMINI DI FILIERA
I rifiuti organici rappresentano la principale frazione merceologica dei rifiuti urbani e ad oggi costituiscono da soli più del 40% del totale dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato. La raccolta dell’organico è, tra le raccolte differenziate, quella che cresce più rapidamente, ma anche quella che presenta maggiori margini di crescita (potrebbe superare i 9 milioni di tonnellate). Sviluppare la filiera di intercettazione e valorizzazione diventa quindi fondamentale per rispettare le prescrizioni delle nuove direttive Ue sull’economia circolare per i rifiuti urbani: ridurre entro il 2035 il conferimento in discarica al di sotto del 10% e raggiungere il 65% di riciclaggio. Grazie alla valorizzazione dei rifiuti organici in compost e biometano, la filiera è inoltre strategica in ottica di bioeconomia e per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e uso di fonti energetiche rinnovabili. “Occorre ragionare in termini di filiera – ha spiegato Alberto Ferro, responsabile Raccolte Differenziate e Riciclo di Utilitalia -, una filiera composta da Comuni e aziende che, con la fondamentale collaborazione dei cittadini, raccolgono i rifiuti organici in modo differenziato, da impianti di trattamento che trasformano i rifiuti organici in fertilizzanti organici e biometano, fino al comparto agricolo e all’industria dei trasporti in cui questi prodotti vengono valorizzati”. Una filiera composta quindi da diverse fasi, “che possono essere presidiate da uno o più soggetti, con l’attenzione però che scelte strategiche e modelli organizzativi siano orientati al migliore raccordo possibile tra ogni fase, al fine di chiudere il ciclo possibilmente a livello territoriale”.
IL CONFRONTO CON LE ALTRE REALTA’ EUROPEE
Solo considerando gli impianti che trattano anche rifiuti urbani, l’Italia è il terzo Paese in Europa per quantità di rifiuti organici trattati (6,5 milioni di tonnellate) dopo Germania e Regno Unito, e quinto per numero di impianti presenti sul territorio. Il confronto con le esperienze internazionali evidenzia come, laddove è riuscita a costruire filiere virtuose, l’Italia raggiunge performance di primissimo piano a livello europeo. Il nostro Paese ha avviato prima di molti altri la raccolta differenziata dell’organico, con importanti tassi di intercettazione (media di 107 kg per abitante l’anno, con punte di 156 kg) ed elevati livelli qualitativi (con una percentuale media di materiali non compostabili intorno al 5%). In molti casi è inoltre riuscita a costruire filiere virtuose che riescono a ridare ai territori, sotto forma di energia pulita e rinnovabile e fertilizzanti organici, le risorse presenti nei rifiuti. “Il biometano in particolare – ha sottolineato il Vice Presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – rappresenta un’opportunità di crescita in termini industriali e di sostenibilità dei servizi erogati dalle utility nazionali: il biometano prodotto da rifiuti organici può valorizzare le reti territoriali di distribuzione del gas e rappresentare un’occasione di rinnovamento delle flotte aziendali e del trasporto pubblico verso un ridotto impatto ambientale”.
I NODI DA SCIOGLIERE: IMPIANTISTICA ED END OF WASTE
Ciò nonostante, l’analisi del contesto nazionale evidenzia l’esistenza di territori dove, complice l’assenza di una vera e propria filiera, non si riesce a chiudere il ciclo di gestione. Per Alberto Ferro “emerge un duplice problema, legato da un lato alla carenza e alla non omogenea dislocazione geografica degli impianti, dall’altro all’incertezza normativa che si traduce in un freno agli investimenti necessari”. Con il DPCM 7 marzo 2016 il Governo aveva stimato che se la raccolta differenziata dell’organico fosse andata a regime, un quantitativo tra le 1,4 e le 2,6 milioni di tonnellate non avrebbe trovato impianti per il loro trattamento: a più di tre anni di distanza la situazione non è molto migliorata, anzi, “la Federazione ritiene che queste stime possano essere utilmente aggiornate alla luce dell’attuale trend di crescita della raccolta dell’organico. E’ necessario limitare i viaggi dei rifiuti tra le diverse aree del Paese, garantendo in ogni Regione la dotazione impiantistica necessaria a trattare i propri rifiuti, chiudendo il cerchio nei territori in ottica di economia circolare”. Al contempo, “l’incertezza normativa che ha recentemente interessato il tema dell’End of Waste ha ritardato pesantemente l’iter autorizzativo (e quindi la realizzazione) di impianti innovativi di trattamento dell’organico con produzione di biometano, tanto che molti progetti rischiano di naufragare perché vedono scivolare pericolosamente la data prevista di entrata in esercizio vicino al termine del periodo utile per l’incentivazione”. “Alla luce dei ritardi dati da questa incertezza normativa e per sfruttare al massimo il potenziale dato dal biometano nella transizione all’economia circolare – ha concluso Brandolini – Utilitalia chiede che la scadenza al 31 dicembre 2022 per l’accesso agli incentivi sia adeguatamente posticipata”.