Listini impazziti, con rialzi del 40% nel 2019 su scala globale, per la carne da trasformazione da animali vivi suini. A causare questo terremoto dei listini è la corsa all’import di carni suine e bovine da parte della Cina, spinta da una dieta più carnivora per l’aumento del reddito pro-capite e per la pesta suina che ha decimato il patrimonio zootecnico del gigante asiatico. ”La Cina ha squinternato tutto il mercato globale – ha commentato all’ANSA il direttore di Assocarni Francois Tomei – e, dopo avere soppresso migliaia di animali per la peste suina, la perturbazione non potrà essere passeggera anche perché è aumentata la domanda di altre carni, dai bovini al pollame. La carne bovina infatti è sempre più presente nella dieta dei cinesi, e nell’ultimo mese e mezzo la carne brasiliana costa il 30% in più. Non è solo una questione di prezzi, – ha osservato ancora Tomei – i cinesi pagano all’impronta e gli esportatori prediligono i pagamenti cash. Il Mercosur sembra avere meno interesse rispetto al ricco mercato Ue. E’ un fenomeno che va tenuto sotto riflessione, come è importante che l’Unione europea mantenga una indipendenza zootecnica che ci garantisca dai picchi dei listini oggi trainati dall’Asia, un domani dall’Africa. Deve essere un monito, anche se la Ue non è un grande importatore da Paesi terzi”. Tra i primi a parlare di rischio rialzo dei prezzi i produttori altoatesini di speck e il re della bresaola, la valtellinese Rigamonti. ”Per l’industria di trasformazione – precisa il presidente di Assica Nicola Levoni – il costo della materia prima rappresenta dal 50% fino al 75% in alcuni casi del costo totale di produzione. Incrementi come quelli che si stanno registrando sono diventati insostenibili per l’industria della produzione di salumi’‘.