Sono passati tre anni. 36 lunghi mesi durante i quali la tragedia dell’Hotel Rigopiano di Farindola è stata sviscerata, raccontata, ritrattata, ammessa, descritta da ogni possibile punto di vista. Ma la verità, almeno quella che ci è dato conoscere, è solo una: 29 persone, 29 storie, 29 vite sono finite per sempre sotto quella valanga che si poteva e si doveva prevedere. O quanto meno se ne dovevano limitare i danni. I familiari delle vittime, ancora adesso, attendono giustizia.
Solo 11 sopravvissuti. Un’ecatombe. L’Abruzzo viveva in quella ore un’epocale emergenza neve, che nell’entroterra superava anche i due metri. Migliaia di persone erano senza corrente elettrica e centinaia erano le richieste di aiuto che giungevano ai centralini. Ad aggravare la situazione quattro scosse di terremoto, di magnitudo 5.1, con epicentro nell’Aquilano, che fecero tremare tutto il centro Italia. Gli ospiti dell’Hotel Rigopiano avevano capito, erano preoccupati, avevano fatto le valigie e volevano andare via, ma la neve era troppa. Non ci si poteva muovere. Allo stesso tempo nessuno poteva raggiungerli, sebbene la sera precedente lo stesso sindaco di Farindola avesse scortato degli ospiti fino all’Hotel: perdere dei clienti per un po’ di neve sarebbe stato un peccato.
Poche ore prima della tragedia ci sono state diverse richieste di aiuto per sgomberare la strada dalla neve.
L’amministratore dell’hotel aveva inviato una mail alle autorità: “La situazione è davvero preoccupante“. Ci sono poi le telefonate di Gabriele D’Angelo, cameriere dell’Hotel, morto nel disastro; la sorella di Roberto Del Rosso, proprietario del resort, è andata personalmente in Provincia a chiedere aiuto. Richieste rimaste senza risposta, con gli ospiti dell’albergo bloccati dalla neve e in attesa dalle 15 di quel tragico pomeriggio di uno spazzaneve che non arriverà mai.
Gli imputati nell’inchiesta principale sulla tragedia sono ben 24, più una società. Tra le persone coinvolte nel procedimento attualmente in corso davanti al gup del Tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, ci sono l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, l’ex presidente della Provincia di Pescara. Antonio Di Marco, e il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta. Le accuse a carico degli imputati, a vario titolo, vanno dal crollo di costruzioni o altri disastri colposi, all’omicidio e lesioni colpose, all’abuso d’ufficio e al falso ideologico. L’inchiesta del procuratore capo Massimiliano Serpi e del sostituto Andrea Papalia si è focalizzata sulla mancata realizzazione della carta valanghe; sulle presunte inadempienze relative alla manutenzione e sgombro delle strade di accesso all’hotel; e sul tardivo allestimento del centro di coordinamento dei soccorsi.
Le posizioni che riguardano il versante politico della tragedia sono state archiviate il 3 dicembre scorso dal gip Nicola Colantonio, come chiesto dalla Procura. Tra gli archiviati ci sono tre ex governatori abruzzesi, Luciano D’Alfonso, Ottaviano Del Turco, e Gianni Chiodi; e gli assessori che si sono succeduti alla Protezione civile, Tommaso Ginoble, Daniela Stati, Mahmoud Srour, Gianfranco Giuliante e Mario Mazzocca. “Non si ritiene – ha scritto il gip nel provvedimento di archiviazione – che gli elementi investigativi indicati negli atti di opposizione (in quanto irrilevanti) possano incidere sulle risultanze investigative, precise ed esaustive, raccolte dal pm, non potendo sminuire le considerazioni da questi assunte nella richiesta di archiviazione e condivise da questo giudice“.
Ci sono inoltre sette imputati accusati di frode in processo penale e depistaggio. Si tratta dell’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, i due viceprefetti distaccati Salvatore Angieri e Sergio Mazzia; i dirigenti Ida De Cesaris, Giancarlo Verzella, Giulia Pontrandolfo e Daniela Acquaviva. Secondo l’accusa, gli imputati, nonostante fossero stati sollecitati a fornire agli investigatori ogni elemento utile alle indagini, avrebbero omesso di riportare nelle loro relazioni, le segnalazioni di soccorso che il 18 gennaio 2017 erano pervenute in Prefettura, in particolare da parte del cameriere Gabriele D’Angelo, una delle 29 vittime. Inoltre, ognuno per quanto di competenza, sempre secondo l’accusa, avrebbero cercato di nascondere agli inquirenti anche i brogliacci con le chiamate in arrivo.
E la storia sarebbe ancora lunga da raccontare, ma non resta che stare ad aspettare per vedere come andrà a finire. Certo, siamo in Italia, sono passati tre anni, dunque è facile intuire come si concluderà la faccenda. Nonostante i raggiri e le omissioni provati nessuno ancora ha pagato. Giustizia non è stata fatta. Le famiglie delle vittime attendono e non sperano. Perché in questa tragedia a mancare, come sempre, è stata la verità, figlia in questo caso della prevenzione e della programmazione inesistenti, oltre che dell’inezia di chi dovrebbe ricoprire un ruolo pubblico.