L’elicottero precipitato nella contea di Los Angeles con a bordo Kobe Bryant e la figlia Gianna Maria stava dirigendosi alla Mamba Academy, l’accademia di basket fondata dal campione, per una mattinata di allenamenti. Lo riportano alcuni media locali. Il soprannome di Bryant era ‘Black Mamba’.
L’ex stella della Nba Kobe Bryant è morto in un incidente di elicottero in California. Secondo le prime informazioni a bordo dell’elicottero viaggiavano almeno altre tre persone; i servizi di soccorso sono intervenuti immediatamente senza però trovare sopravvissuti. Il 41enne Bryant era considerato uno dei più grandi giocatori della Nba di tutti i tempi; nei suoi vent’anni di carriera con i Los Angeles Lakers è stato votato per 18 volte nell’All Star team, vincendo cinque campionati. Per due volte è stato miglior giocatore delle finali e nel 2008 venne eletto MVP del campionato. I Lakers hanno ritirato entrambe le maglie indossate da Bryant nel corso della sua carriera, la 8 e la 24: è l’unico giocatore ad aver ricevuto questo onore. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha espresso il proprio cordoglio in un messaggio su Twitter in cui ha parlato di una “terribile notizia”. Secondo fonti vicine alla famiglia di Bryant a bordo dell’elicottero si trovava anche una delle quattro figlie, la tredicenne Gianna Maria.
Il grande amore di Kobe Bryant per l’Italia
L’ex stella della Nba Kobe Bryant, morto oggi in un incidente in elicottero in California, amava l’Italia. E l’amava perche’ in quei sette anni passati nel nostro Paese, dai 6 ai 13 anni, aveva imparato, per davvero, a giocare a pallacanestro. Quello si’, il vero amore della sua vita. Nel marzo del 2019, quando venne chiamato a sorteggiare i gironi del mondiale di basket che si sarebbe poi giocato alla fine della scorsa estate, aveva rilasciato un’intervista alla FIBA (federazione internazionale) ricordando l’importanza di quegli anni: “Crescere dall’altra parte dell’oceano mi ha dato un incredibile vantaggio perche’ avevo imparato i fondamentali. Non come fare il giocoliere ma come muovermi senza palla e usare i blocchi, utilizzare entrambe le mani, passare la palla in maniera efficace”. Metodi rigidi che in America non avrebbe trovato. “Facevamo solo una partitella a settimana, se eravamo fortunati”. Kobe non era capitato per caso nel nostro Paese. Suo padre, Joe, anche lui cestista, aveva deciso di venire a giocare in Europa portandosi dietro la famiglia. In quattro citta’ dove il basket e’, ancora oggi, piu’ che una religione: Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia. Kobe era piccolo ma giocava gia’ con i piu’ grandi. Nel torneo plasmon aveva 6 anni, gli altri 9. Il giornalista Andrea Barocci lo racconta bene nel suo libro “Un italiano di nome Kobe”. Nel 2016, inoltre, venne intervistato da Radio Deejay esprimendosi in un italiano quasi perfetto. “Lo parlo poco, ogni tanto con le mie sorelle”. L’occasione era quella di incontrare, in Italia, alcuni giovani fan per ricordare loro che “la cosa piu’ importante e’ che quella che state facendo ora”. Il concetto resta lo stesso, quello che lui aveva imparato da piccolo: “Le cose che sembrano piccole in questo momento, con grande lavoro, diventeranno tra due anni cose grandissime”. Il legame con l’Italia, cosi’ come quello per lo sport, lo aveva trasferito anche alle figlie. Natalia Diamante, Bianka Bella e Capri Kobe e Gianna Maria-Onore. Nomi che raccontano il nostro Paese e che ne evocano alcuni luoghi. L’ultima Gianna, 13 anni, e’ morta con lui, nell’incidente in elicottero che lo ha ucciso a soli 41 anni.