“Si tratta ancora di ricerche sperimentali ma promettono applicazioni incredibili in diversi settori veicolate da algoritmi che ne definiscono il comportamento e in cui il digitale rappresenta, come di consueto, un tassello indispensabile“: si tratta degli xenobot, piccoli robot viventi che sono stati creati utilizzando cellule staminali prelevate da embrioni di rana africana della specie Xenopus laevis. Ogni xenobot, spiega in una nota l’associazione AIDR, “è largo meno di un millimetro, ed è in grado di muoversi nei liquidi utilizzando blocchi di cellule attive o di trasportare un piccolo carico. La bellezza è che possono essere programmate anche collettivamente. Si tratta di esseri morbidi, per metà animali e per metà robot che possono guarire se stessi se danneggiati.
Ancora una volta è la collaborazione multidisciplinare che ha fornito risultati concreti. Un team di biologi, informatici e ingegneri, ricercatori dell’Università di Tufts, dell’Università del Vermont e del Wyss Institute di Harvard, sperano che un giorno questi robot viventi possano essere utilizzati anche collettivamente e programmati per ripulire le microplastiche negli oceani, digerire materiali tossici o persino consegnare medicinali all’interno del nostro corpo, anche se parliamo ancora di ricerche di frontiera. L’associazione AIDR sta già studiando ulteriori applicazioni che potranno essere applicate anche nelle filiere industriali e nel settore farmaceutico.
I robot sono costruiti da cellule cardiache, che si contraggono e si rilassano spontaneamente come piccoli pistoni e cellule della pelle che forniscono una struttura più rigida. Una volta che si sono generate, le cellule di un robot hanno abbastanza energia per muoversi per un massimo di 10 giorni.
E’ stata utilizzata una progettazione avanzata, in quanto gli xenobot sono stati realizzati utilizzando un algoritmo evolutivo, che imita la selezione naturale generando potenziali soluzioni e quindi selezionando e mutando ripetutamente quelle più promettenti. L’algoritmo ha evocato migliaia di configurazioni casuali comprese tra 500 e 1.000 cellule della pelle e del cuore e ognuna è stata testata in un ambiente virtuale. Molti erano inutili. Ma quelli che mostravano un potenziale, come ad esempio, la capacità di muoversi, erano ottimizzati e usati per seminare la generazione successiva. Dopo aver eseguito questo processo 100 volte, i ricercatori hanno realizzato i migliori progetti con cellule viventi.
Questa prima realizzazione di xenobot è molto semplice ma le versioni future potrebbero essere realizzate con sistemi nervosi e cellule sensoriali, anche con capacità cognitive rudimentali, in grado di interagire con l’ambiente circostante. Nasceranno inevitabilmente implicazioni etiche su cui occorre cominciare a porsi delle domande.”