Gennaio 2020 archiviato, oggi inizia Febbraio 2020: ma perché il secondo mese dell’anno si chiama così?
Il suo nome viene dall’antica Roma, quando il mese di febbraio era l’ultimo dell’anno. Durante questo mese si tenevano i Lupercali, la festa della purificazione, ed è proprio dal latino “februare” (che significa “purificare” o “un rimedio agli errori” in onore del dio etrusco Februus e della Dea romana Febris) che viene il nome del mese più corto dell’anno.
Il calendario romano originale era più breve di quello gregoriano: fu Numa Pompilio ad aggiungere Gennaio e Febbraio, rendendo l’anno uguale a quello solare.
Fino al 46 a.C. nell’antica Roma l’anno iniziava il 1° marzo, due mesi dopo rispetto ad oggi: Settembre era il settimo mese dell’anno, Ottobre l’ottavo, Novembre il nono, Dicembre il decimo.
Inizialmente il mese di luglio era chiamato Quintilis (quinto mese) ed agosto Sextilis (sesto mese). La riforma del calendario, promulgata da Giulio Cesare ed introdotta nel 46 a.C. introdusse il nome “luglio” in suo onore, e agosto invece deriva il suo nome da Ottaviano Augusto. A partire dalla riforma giuliana del calendario, febbraio è diventato secondo mese dell’anno, con 28 giorni e 29 giorni negli anni bisestili.
Il calendario in uso oggi nei paesi occidentali è il calendario gregoriano, introdotto nel 1582.
Febbraio 2020, mese bisestile: curiosità e origini
Il 2020 è un anno bisestile, dunque febbraio non ha 28 giorni, bensì 29. Un giorno in più, che nel corso dei secoli ha dato adito a leggende e curiosità più o meno reali. Secondo il calendario gregoriano “un anno è bisestile se il suo numero è divisibile per 4, con l’eccezione degli anni secolari (quelli divisibili per 100) che non sono divisibili per 400“. Aggiungere un giorno ogni quattro anni si è reso necessario a causa del moto di rivoluzione della Terra, cioè il periodo che il nostro Pianeta impiega per ruotare attorno al Sole, che è di circa 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi. I decimali però, a lungo andare andrebbero ad alterare i cicli stagionali, dunque è stata trovata la soluzione del giorno in più. Per quanto riguarda il termine, ovvero la parola bisestile, a coniarlo furono i Romani che aggiungevano il giorno in più dopo il 24 febbraio, definendolo sexto die ante Kalendas Martias, ovvero sesto giorno prima delle Calende di marzo, abbreviato poi in bis sexto die. E proprio al periodo dei romani risale la prima introduzione nel calendario di un giorno in più. A volerla fu Giulio Cesare nel lontano 46 a.C.. In seguito, da quando si iniziò a contare i giorni del mese dal primo e con numeri progressivi, il giorno extra fu inserito alla fine di febbraio, il 29 appunto. Ben presto si pose un problema: i giorni bisestili erano troppi e il calendario adottato non coincideva con quello solare. Con la riforma gregoriana, attuata proprio da Papa Gregorio XIII, nel 1582 vennero letteralmente cancellati i giorni dal 4 al 15 ottobre e l’equinozio di primavera venne riportato al 21 marzo. Il calendario gregoriano, che è quello utilizzato ancora oggi, previde dunque che gli anni bisestili fossero solo quelli divisibili per quattro.
Nel corso dei secoli intorno al giorno extra, il 29 febbraio appunto, si vennero a creare diverse leggende e tradizioni. Nei Paesi anglossassoni, ad esempio, è l’unico giorno in cui sono le donne a poter chiedere la mano al fidanzato, e non viceversa come vuole la tradizione. A quanto pare fu San Patrizio a concedere questo onore alle donne, dopo le insistenti richieste di Santa Brigida. Ma non basta. Perché la particolarità delle richiesta di matrimonio in tale giorno sta nel fatto che gli uomini, dopo averla ricevuta, non possono sottrarvisi: devono per forza dire sì. Quest’obbligo, forse, è dovuto alla regina Margaret di Scozia, che intorno al 1200 aveva stabilito che gli uomini che rifiutavano la proposta del 29 febbraio dovevano pagare un’accisa salatissima. Ottimo deterrente, dunque, per fare in modo che i promessi sposi diventassero realmente tali dopo la richiesta da parte della compagna. La leggenda è cosi radicata ancora oggi, che il alcuni paesi del Nord Europa, gli uomini che rifiutano una proposta di matrimonio nel giorno bisestile, devono risarcire la fidanzata con capi di abbigliamento. Diverso, invece, è il caso del matrimonio celebrato il 29 febbraio: in molti Paesi è considerato ancora oggi di cattivo auspicio, e pochissimi la fissano come data delle nozze.
E chi nasce oggi come si organizza con i compleanni? Una famiglia irlandese, i Keogh, è entra nel Guinness dei primati perché nel secolo scorso ha visto nascere ben tre generazioni in anni bisestili: padre, figlio e nipotina. Nascere il 29 febbraio è una rarità tale che è stato addirittura creato un club: l’Honor Society of Leap Year Day Babies. Per quanto riguarda il festeggiamento del compleanno, poi, in genere si fa il 28 febbraio o il 1° marzo. Tra i personaggi celebri nati il 29 febbraio vi sono nomi altisonanti come Papa Paolo III o Gioacchino Rossini.
Un giorno e un anno speciale, dunque, che in inglese è definito “leap year“, ovvero anno del salto. La definizione si basa sul fatto che negli anni normali, dunque non bisestili, ogni data cade il giorno della settimana successivo rispetto a quello dell’anno precedente. Nell’anno bisestile, invece, si salta (da qui leap) un giorno e dunque cadono due giorni dopo rispetto all’anno prima. Per alcuni porta fortuna, per altri è di cattivo auspicio, altri ancora lo ignorano e non si rendono nemmeno conto che esiste e che l’anno prima non c’era; ma comunque lo si viva, il 29 febbraio ci fa capire quanto sia convenzionale e labile il tempo, che troppo spesso scorre senza che noi riusciamo a rendercene conto. Avremmo bisogno di tanti giorni in più, ma dilatare il tempo non ci è ancora concesso, e dunque non ci resta altro da fare che goderci quest’anno bisestile, sfruttando il suo 366° giorno per dedicarci a ciò che ci è più caro.
Febbraio, i proverbi
Tra i proverbi sul mese di febbraio possiamo ricordare “Febbraio febbraietto corto e maledetto”.
La tradizione popolare è molto legata alla Candelora, una festa pagana antichissima che a Roma si celebrava tra il 15 e il 18 del mese. Il culmine della festa era la februatio (da cui deriva il nome febbraio), cioè la “purificazione” della città dagli influssi dei demoni: il cristianesimo ha convertito le celebrazioni nella festa della Purificazione della Madonna, spostando la data al 2 febbraio. Uno dei proverbi più famosi in tutta Italia recita: “Candelora, se nevica o se plora dell’inverno siamo fora, ma se c’è sole o solicello siamo solo a mezzo inverno“.
Altri proverbi recitano: “A San Valentino la primavera sta vicino (14 febbraio)”, “la pioggia di febbraio riempie il granaio“, “a San Biagio gela la goccia sotto il naso“.
Febbraio, la Candelora e i suoi proverbi
Dopo i Giorni della Merla il pensiero corre subito alla Candelora, un giorno simbolico, in quanto si trova a metà strada tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera: è consuetudine in tale periodo pronosticare il meteo delle settimane successive.
La festa della Presentazione di Gesù al Tempio cade il 2 febbraio, a 40 giorni di distanza dal Natale e, oltre che come Presentazione del Signore, è nota anche come la Purificazione di Maria, oltre che, nella tradizione popolare, come la “Candelora“, ricorrenza che prevede la benedizione di ceri e candele nelle chiese. Celebrata già dall’imperatore Giustiniano, fu adottata a Roma fin dal Settimo secolo, con una processione penitenziale istituita da papa Sergio I (687-701).
Intorno alla data del 2 febbraio, come anche per molte altre, la nostra tradizione storica e popolare ci ha tramandato una serie di detti e proverbi tra cui il più noto è “Per la santa Candelora se nevica o se plora dell’inverno siamo fora“, un antico proverbio popolare riferito al rituale della Candelora, introdotto dal patriarca di Roma Gelasio intorno all’anno 474 d.C., in sostituzione della cerimonia pagana dei Lupercali, dalla quale ha assunto qualche ispirazione procedurale. Il proverbio è legato anche al clima e allo scorrere delle stagioni.
Nella ruota dell’anno, la Candelora è una sorta di porta tra l’inverno, oramai al suo declino, e l’imminente primavera. È il periodo adatto ai riti propiziatori per attirare fecondità e fertilità, riti che saranno determinanti per l’annata agricola che sta per cominciare. Questo passaggio contrassegna simbolicamente il transito dal “periodo oscuro” del calendario indoeuropeo contrassegnato dal freddo, dal buio e dalla morte dell’inverno verso il rinnovamento del cosmo che magnificamente si esprime con la primavera.
Le origini della Candelora vanno ricercate nelle antiche celebrazioni italiche, legate soprattutto alle divinità romane: nella Roma antica il mese di febbraio era un momento contrassegnato dal caos, dal rimescolamento tra vecchio e nuovo e non a caso è ancora oggi legato al Carnevale, la festa celebrativa della confusione e del ribaltamento delle regole.
Tanti sono i proverbi legati alla Candelora: un detto salentino recita: “Te la Candelora la vernata è ssuta fora, ma ci la sai cuntare nc’e’ nu bbonu quarantale” (Della Candelora l’inverno è già passato, ma se fai bene i calcoli, ci sono ancora ben 40 giorni altri). I triestini dicono: “Candelora piova e Bora, del’inverno semo fora, Candelora sol el vento del’inverno semo dentro”. “A la Cannilora, ogni gaddina veni a ova” (ogni gallina, anche quella più giovane, inizia a fare le uova”; “Pi la Cannilora figghia a vecchia e figghia a nova” (gallina vecchia e giovane fanno le uova). In Sicilia si dice: “Ppà Cannalora a mmirnata ie fora ma se fora un iè, n’atri quaranta jorna cci n’è” (Se il tempo nel giorno della Candelora è buono, allora sì che l’inverno sta per finire. In caso di pioggia e vento, il brutto tempo continuerà per altri 40 giorni con un marzo, a livello meteorologico, freddo e piovoso).
In Lombardia si dice: “Alla Madonna della Candelora dall’inverno siamo fuori, ma se nevica o tira vento 40 giorni siamo ancora dentro”; in Toscana il detto recita: “Se piove o se gnagnola dell’inverno semo fora”. “Candelora in foglia, Pasqua in neve”; “Candelora scura dell’inverno non si ha paura” ; “Se nevica per la Candelora, sette volte la neve scola”; “Da Candalora cu on avi carni s’impigna a figghijola”; “Pa Cannilora u brascirr fora”.