“Di fronte alla epidemia da Covid-19 ciascuno di noi è al lavoro – nel nostro ambito e nelle nostre strutture, a Milano e Pisa e ad Atlanta – per raggiungere gli stessi obiettivi: prevenire nuovi contagi, monitorare e limitare l’epidemia, e curare i malati. Il tutto attraverso gli strumenti del metodo scientifico e clinico: ipotesi, esperimenti, studi clinici epidemiologici, diagnosi, ricerca di antivirali e vaccini“: lo scrivono Pier Luigi Lopalco, Ordinario di Igiene dell’Università di Pisa, Guido Silvestri, Ordinario di Patologia della Emory University di Atlanta, USA, e Roberto Burioni, Ordinario di Microbiologia e Virologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, Milano. “Anche dal punto di vista comunicativo tutti stiamo facendo esattamente la stessa cosa, cioè cerchiamo di trovare – nel rivolgerci ad un pubblico di non esperti che è comprensibilmente spaventato da questa situazione – una giusta e pragmatica via di mezzo tra l’allarmismo che crea solo panico generalizzato e controproducente, e la sottovalutazione facilona che porta ad essere impreparati di fronte ad una situazione di pericolo. Per questo è importante ribadire che non c’è nessun disaccordo tra di noi, in quanto le nostre valutazioni ed i nostri obiettivi sono comuni. Siamo uniti nel dirvi che è indispensabile l’impegno e il sacrificio mentre è immotivato il panico. D’altronde non potrebbe essere altrimenti tra persone che sanno dove finiscono i fatti e dove cominciano le opinioni“.
“Il problema è la diffusione, non la pericolosità”
“Il Coronavirus non è la peste. Non conosciamo ancora tecnicamente le sue caratteristiche e abbiamo l’obbligo di contenere la sua diffusione, ma non la sua pericolosita’. Il problema non e’, quindi, l’infezione e l’associazione con il decesso del paziente, ma la sua alta diffusibilita’. Si trasmette in maniera rapida, perche’ una persona che ha contratto il virus riesce ad infettare altre 3 persone contemporaneamente“, spiega Rocco Russo, coordinatore del tavolo tecnico sulla vaccinazione della Societa’ italiana di pediatria (Sip), riferendosi ai recenti risvolti epidemiologici. “Se immaginiamo che la popolazione presente nella citta’ di Wuhan corrisponda a mezza popolazione italiana, e se trasportiamo una situazione del genere nel nostro paese allora avremmo mezza Italia con il Coronavirus. Questo non vuol dire che morira’ mezza Italia, perche’ l’80% guarisce, il 15% potra’ avere problemi seri ma gestibili in ambiente sanitario e un 5% avra’ gravissime complicanze, di cui il 3% puo’ essere a rischio letalita’. La letalita’ aumenta nei soggetti con comorbidita’ nelle persone anziane, che sono la stessa categoria di soggetti a rischio letalita’ per influenza“.
In base ai dati epidemiologici e alle esperienze sul territorio “risulta che abbiamo nella fascia pediatrica un ridotto numero di casi verificati da Coronavirus e noi prendiamo atto di suddetto dato epidemiologico. Questo e’ un virus nuovo, che stiamo iniziando a conoscere e non possiamo offrire valutazioni che non siano supportate dalle evidenze scientifiche. Le ipotesi sono legate al fatto che il bambino piu’ piccolo metta in atto meccanismi difensivi probabilmente diversi come risposta anticorpale all’infezione. Il bambino- sottolinea Russo- entra in contatto con altri Coronavirus piu’ semplici, come quelli che causano un banale raffreddore, e questo potrebbe creare una risposta anticorpale tale da proteggerlo. Ma sono solo ipotesi deduttive“.
“Sappiamo che il Coronavirus provoca maggiori danni nei soggetti fragili, con comorbilita’ legate ad esempio all’eta’ o a problemi cardiologici e all’ipertensione arteriosa. Ma il soggetto sano non esiste per definizione, il giovane di 38 anni ricoverato in terapia intensiva non e’ detto che sia un soggetto che non possa superare brillantemente l’infezione da Coronavirus, cosi’ come qualsiasi altra infezione. Il soggetto sano non esiste perche’ puo’ esserci una predisposizione genetica che lo esponga a una maggiore complicanza rispetto ad un altro soggetto della sua stessa eta’. La definizione di ‘sano’, dunque, e’ teorica perche’ il sano puo’ essere anche colui che alla fine puo’ avere una slatentizzazione di una patologia che puo’ aggravare il decorso della malattia infettiva. Un soggetto obeso, per definizione, a volte e’ considerato anche sano ma l’obesita’ e’ una delle condizioni maggiormente volte a creare complicanze“.