Era il 1986 quando in Inghilterra, in un laboratorio veterinario di Weybridge, in una mucca venne individuato e diagnostico per la prima volta un caso di encefalopatia spongiforme bovina (BSE, Bovine Spongiform Encephalopathy), noto al grande pubblico come ‘morbo della mucca pazza’, passato poi agli esseri umani proprio dalla carne bovina. Ben presto il morbo diventò un’epidemia, a seguito della quale diminuì il consumo di alcuni tipi di carne, come fiorentina e altre carni con l’osso, messe temporaneamente al bando dall’UE insieme a farine animali per nutrire il bestiame. L’encefalopatia spongiforme bovina sembrava, fino ad oggi, completamente eradicata, ma a quanto pare così non è.
Da ieri, infatti, si è diffusa la notizia che in Svizzera è stato individuato un caso di morbo della mucca pazza (l’ultimo era stato registrato nel 2012). Si tratta una vacca di tredici anni di una fattoria di Einsiedeln (SZ), soppressa il 23 gennaio scorso perché presentava una forma atipica di encefalopatia spongiforme bovina (BSE), come si legge in un comunicato dell‘Organizzazione mondiale della sanità animale (OIE). Campioni del tronco cerebrale sono stati prelevati per effettuare delle analisi. Il primo caso di BSE in Svizzera risale al 1990. L’esito della patologia è sempre mortale. All’epoca il morbo si era diffuso a causa dell’alimentazione dei bovini con farine animali in cui i prioni, alla base della patologia, non erano inattivati.
L’agente infettivo è una proteina modificata, il prione, che attacca i centri nervosi dell’animale. Si tratta di una proteina che subisce una modificazione permanente della sua conformazione e che causa danni irreversibile nella proteina presente nelle cellule sane del cervello. Questo porta ad un’aggregazione di proteine, che vanno così a formare dense placche fibrose che appaiono come dei buchi, creando quindi un aspetto “a spugna”. Fisicamente, il soggetto animale che ne è affetto, subisce un deterioramento dell’organismo, ma anche mentale.