Santa protettrice di Catania, dove è tuttora invocata in occasione delle ricorrenti eruzioni dell’Etna, Agata fu mandata a morte dal console Quinzano, per aver rifiutato la sua proposta di sposarlo. Subì un martirio particolarmente crudele (il taglio dei seni), tema ricorrente nella successiva rappresentazione iconografica della santa.
Vita, patronati, iconografia e proverbi
Cresciuta in una famiglia ricca e illustre catanese, sentì presto il desiderio di donarsi totalmente a Cristo, forse a 15 anni. Il Vescovo della città di Catania, nella cerimonia della velatio, le impose il flammeum, un velo rosso portato dalle vergini consacrate. Secondo altri, aveva 21 anni quando ciò avvenne, tanto da esser rappresentata con una tunica bianca e il pallio rosso, segni della diaconessa (donna con un ruolo attivo nella comunità cristiana, col compito di istruire i nuovi adepti, preparare i giovani ad esser battezzati, comunicati e cresimati.
Tra il 250 e il 251 giunse a Catania il proconsole Quinziano, anche per far rispettare l’editto imperiale che chiedeva a tutti i Cristiani di abiurare pubblicamente la loro fede. Quinziano, invaghitosi della fanciulla, le ordinò di adorare gli di pagani ma Agata rifiutò. Fu allora che il proconsole la affidò per un mese alla cortigiana corrotta Afrodisia, dedita alla prostituzione sacra in quanto sacerdotessa di Cerere, che cercò di corrompere moralmente la giovane siciliana, tra minacce e allettamenti, pressandola psicologicamente al fine di sottometterla alla volontà di Quinziano.
Fallito ogni tentativo di corruzione, il proconsole avviò un processo contro Agata che, trasportata in carcere, subì numerose violenze, dalla fustigazione allo strappo delle mammelle con le tenaglie. La stessa notte le venne in visita San Pietro che la rassicurò, risanandole le ferite. Quinziano, allora, adirato, la fece porre nuda su cocci, sottoponendola al supplizio dei carboni ardenti.
A quel punto, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, il velo che lei portava non si incendiò, tanto da diventare una delle reliquie più preziose.
Agata morì nella sua cella, nella notte dl 5 febbraio 251. Le reliquie, ancora oggi, sono custodite nel Duomo di Catania, dove giunsero il 17 agosto 1126 dopo essere state trafugate da Giorgio Maniace, generale bizantino, un secolo prima a Costantinopoli. I resti si trovano nel busto argenteo e in uno scrigno argenteo dell’edificio.
Sant’Agata, oltre che patrona di Catania, lo è di San Marino. E’ patrona delle balie, delle madri che allattano, è invocata contro le malattie del seno, protegge da bruciature, eruzioni vulcaniche, fuoco del Purgatorio, incendi, terremoti; è patrona degli ottonai, dei vetrai, è protettrice dei fonditori di campane, dei tessitori. Rappresentata come giovane donna dai bei lineamenti, Sant’Agata compare con abiti di fogge e colori differenti. Spesso indossa abiti ricchi, come simbolo della sua nobiltà, altre volte presenta abiti semplici, con tinte inneggianti al martirio (rosso), alla purezza (bianco), alla gloria (dorato-giallo). Spesso, iconograficamente parlando, troviamo Sant’Agata nella stessa posa della conterranea Lucia, con la palma del martirio in mano, mentre con l’altra regge un piatto o un vassoio su cui si trovano le mammelle recise.
Alcune volte la palma è sostituita o accompagnata con una corona di rose. Qualche volta compare lo strumento del martirio (tenaglie), un braciere con carboni ardenti, un fuoco da legna, una torcia o un cero, simbolo della potenza del fuoco, uno strumento di legno, forse impiegato per la tessitura, ai suoi piedi; il vulcano Etna in eruzione con la città di Catania sullo sfondo; un libro, simbolo del Vangelo, un giglio.
Tra i proverbi più noti ricordiamo:
- “Sant’Agata conduce la festa a casa”;
- “Sant’Agata: la terra rifiata e la merenda è ritrovata”;
- “Doppu cè a S. Aita a rubbaru ci ficiru i potti di ferru” (“Dopo che venne derubata, Sant’Agata è stata protetta con porte in ferro”).
Miracoli e leggende più celebri
Si tramanda che, quando Quinziano provò a convincere la Santa a intraprendere la via del piacere, la fanciulla rispose: “E’ più facile che si rammollisca questa pietra, che non il mio cuore alle tue blandizie!”, battendo il piede che lasciò un’orma su una pietra, ancora conservata a Catania, nella Chiesa del Santo Carcere.
Si narra che davanti al Sacro Carcere, dirimpetto alla finestra della cella di Sant’Agata, si trovi un’aiuola con un olivo, in ricordo di un’altra leggenda legata alla Santa. Pare che, per alleviare le sofferenze della Santa che, ferita, giaceva a terra nella cella, tormentata implacabilmente dal sole tutto il giorno e dai freddi venti di tramontana durante la notte, l’olivo, ormai secco, sotto le mura del carcere, stese improvvisamente i suoi rami spogli sino alla finestra della cella, ricoprendoli di giovani foglie e creando una barriera d’ombra ai raggi solari, oltre a produrre frutti per sfamare un po’ la giovinetta. Non potendo far nulla contro la ferma e risoluta volontà di Sant’Agata, Quinziano la mandò a morte, torturandola allo strappo delle mammelle, ma il proconsole aveva le ore contate: la terra venne scossa da un terremoto e la gente, dopo essersi convertita al Cristianesimo, si ribellò contro il tiranno, costringendolo a scappare. Egli, nel tentativo di attraversare il fiume Simeto, vi annegò nei gorghi. Questo avvenimento dette vita alla nota leggenda del Simeto.
Sembra che la notte tra il 4 e il 5 febbraio, giorni del martirio, si sentano ancora le sue urla disperate che richiamano ripetutamente il nome Agata e si oda l’ultimo nitrito del cavallo, travolti entrambi dalle onde vendicatrici del fiume.
Nel 252 Agata era morta da un anno ma Catania il 1° febbraio venne minacciata da una violentissima eruzione del vulcano Etna. Gli abitanti dei vari villaggi fecero ricorso al velo che cingeva il suo sepolcro, opponendolo all’avanzata inesorabile della lava. Il velo, da bianco, diventò rosso, arrestando l’eruzione proprio il 5 febbraio, giorno dell’anniversario del martirio.