Domani è il Giorno del Ricordo, per non dimenticare gli eccidi della popolazione italiana del Venezia Giulia e della Dalmazia verificatisi durante la II Guerra Mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra, ad opera dei Comitati popolari di liberazione jugoslavi.
Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici dove furono gettati molti dei corpi delle vittime, che nella Venezia Giulia sono chiamati, appunto, “foibe“.
Si ricordano anche le centinaia di migliaia di italiani costretti a lasciare le loro case in Istria, a Fiume e in tutta la Dalmazia.
Nulla c’è di certo in questa storia: non il numero delle vittime, le identità e neppure il luogo di sepoltura. E anche degli di chi lasciò la propria casa si sa poco. Una sola cosa si sa: che è stata una tragedia troppo a lungo dimenticata.
“La persecuzione, gli eccidi efferati di massa – culminati, ma non esauriti, nella cupa tragedia delle Foibe – l’esodo forzato degli italiani dell’Istria della Venezia Giulia e della Dalmazia fanno parte a pieno titolo della storia del nostro Paese e dell’Europa. Si trattò di una sciagura nazionale alla quale i contemporanei non attribuirono – per superficialità o per calcolo – il dovuto rilievo. Questa penosa circostanza pesò ancor più sulle spalle dei profughi che conobbero nella loro Madrepatria, accanto a grandi solidarietà, anche comportamenti non isolati di incomprensione, indifferenza e persino di odiosa ostilità“: lo ha dichiarato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una nota. “Il ‘Giorno del Ricordo’, istituito con larghissima maggioranza dal Parlamento nel 2004, contribuisce a farci rivivere una pagina tragica della nostra storia recente, per molti anni ignorata, rimossa o addirittura negata: le terribili sofferenze che gli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia furono costretti a subire sotto l’occupazione dei comunisti jugoslavi . Queste terre, con i loro abitanti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, conobbero la triste e dura sorte di passare, senza interruzioni, dalla dittatura del nazifascismo a quella del comunismo“.