Enrico De Lisotta, barese, padre e nonno, è tornato a casa il 16 aprile dopo lunghe giornate trascorse a “soffrire“: il 62enne ricorda “gli aghi nelle braccia, le urla e i pianti di chi chiede aiuto da ogni dove, i medici e gli infermieri senza volto che soccorrono pazienti e trasportano cadaveri“. Dopo essere sopravvissuto al Coronavirus, dopo aver trascorso 25 giorni nel reparto di terapia intensiva dell’unità di Pneumologia del Policlinico di Bari, “bloccato in un letto da apparecchi per la ventilazione forzata“, con una lettera aperta invita tutti a “rispettare le regole per prevenire i contagi“.
L’uomo racconta di essere stato contagiato dalla madre “che dopo diversi giorni di ricovero ci ha lasciato senza che alcun affetto familiare abbia potuto accompagnarla nel trapasso“. Enrico ricorda che “il timore di non potercela fare” è stato “costante: soprattutto nel mio caso, quando i medici si sono arenati di fronte ad un blocco delle capacità di ripresa del polmone destro” che non permetteva una normale ossigenazione del sangue. Poi, la domenica di Pasqua, “una dottoressa di cui purtroppo non riesco a ricordare il nome“, cambia il piano terapeutico, provando ad aumentare la dose di eparina. Prima di procedere, però, è necessario un dolorosissimo prelievo di sangue arterioso, un Emogas. “Dopo il prelievo, a distanza di una decina di minuti, la vedo tornare quasi saltellando di gioia, come se avesse vinto il campionato del mondo“, per annunciargli che il “miracolo era compiuto: i valori erano migliorati“.
“Oggi – conclude Enrico – posso dire che il reparto Covid 19 Utr Pneumologia del Policlinico e’ un reparto di eccellenza“.
Anche se non riesce a ricordare il nome di tutti quelli che definisce “angeli“, precisa che “lo staff di medici, infermieri, Oss, ausiliari e personale addetto ad altri ruoli, ha una efficienza degna di lode non solo in termini medico scientifici, ma anche umani. Grazie“.