Si basa su tre farmaci esistenti ed è stata messa a punto in Italia, brevettata di un veterinario. E’ la terapia anticoronavirus tutta nostrana, ma già prenotata da alcuni ospedali nordamericani e canadesi, pronti a metterla in pratica su numeri pazienti. A raggiungere l’ambita meta sono stati, nei laboratori dell’Università di Camerino, i membri del gruppo di ricerca coordinato dal professor Giacomo Rossi, 52 anni, medico veterinario livornese della Scuola di Bioscienze e Medicina veterinaria di Unicam.
Il professor Rossi, veterinario, è partito dal coronavirus del gatto, il FeCoV, ovvero una patologia grave e senza un vaccino che spesso porta gli animali alla morte. Ha così messo a punto un protocollo di cura per gli umani che è stato acquisito dall’imprenditore Francesco Bellini, scienziato. Il veterinario livornese, analizzando la maniera con cui i coronavirus si legano alle cellule dell’ospite, si è accorto di una particolarità di Covid-19: presenta un numero maggiore di legami con i siti di Ace2, il recettore cellulare che Covid-19 utilizza per entrare nelle cellule del polmone, dell’apparato digerente e del tratto genito-urinario dell’uomo.
“Questi siti, detti di glicosilazione – ha spiegato Rossi -, sono aree in cui molecole di zucchero semplice si legano a una proteina ancorata sulla membrana cellulare. Ho notato che tutti questi siti sono costantemente legati all’ultimo amminoacido della proteina di membrana, l’Asparagina. Da qui l’idea di utilizzare un vecchio farmaco, noto agli oncologi che lo usano nella terapia della leucemia acuta dei bambini, la L-Asparaginasi. È un enzima che, eliminando l’aminoacido Asparagina, taglia di fatto il legame del virus con il suo specifico recettore cellulare“. Il farmaco blocca l’infezione e, eliminata l’Asparagina, “il Covid non ha più alcun punto di attacco”.
“Questo farmaco – precisa il veterinario –, unito alla già nota Clorochina che funziona bloccando l’ingresso del virus nella cellula tramite un altro meccanismo, e all’Eparina, che previene il danno acuto vascolare indotto dalla tempesta dell’infiammazione, copre in maniera completa infezione ed effetti dell’infezione sull’uomo”. Il brevetto, in tre giorni, è stato depositato a Washington Dc e alcuni ospedali statunitensi e canadesi lo stanno valutando “Procediamo con cautela“, ha detto Rossi, “entro un mese dovremmo avere i primi risultati“.