Il prof. Francesco Le Foche, medico immunologo, responsabile del day hospital di immuno-infettivologia al Policlinico Umberto I di Roma, è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format “I Lunatici”, condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta dal lunedì al venerdì dalla mezzanotte e trenta alle sei del mattino.
Sul momento legato all’emergenza Covid-19: “Se è iniziata la fine dell’incubo? Diciamo che vediamo la luce. I casi si riducono notevolmente, questa strategia del distanziamento umano ha avuto un senso, è stata importante. Siccome però abbiamo avuto delle carenze sul territorio dobbiamo assolutamente iniziare a trattare il paziente a livello domiciliare. Dobbiamo essere più vicini alle persone a livello domiciliare, iniziare un trattamento entro i primi tre giorni, perché il paziente con pochi sintomi se trattato a domicilio non arriva spesso in ospedale e le pandemie vanno trattate fuori dagli ospedali. Sarebbe opportuno iniziare una strategia terapeutica, condivisa, a domicilio. Non dobbiamo avere colpi di testa, possiamo ipotizzare e strategicamente mettere in campo una condizione sicura per poter piano piano rimettere in moto il volano dell’economia e della società. La fase 2? Deve essere programmata adesso, non possiamo parlarne per attuarla. Dobbiamo programmarla in modo scientificamente e socialmente corretta. Ora la dobbiamo programmare, facendo in modo che non ci sia nessun rischio per le persone. Questa partita noi l’abbiamo persa in ospedale. Abbiamo perso troppe vite umane. Il secondo tempo di questa partita, adesso, dobbiamo giocarla in casa del paziente. Perché in casa si vince. Se noi trattiamo subito la cosa pochissime persone arrivano ad avere necessità del respiratore. Se affrontiamo subito la malattia, pochissime persone avranno necessità del respiratore. Dopo dieci o quattordici giorni, invece, questo virus ha un bivio. Nell’ottanta percento dei casi va verso l’auto definizione, quindi si auto limita. L’altro venti percento invece spesso deve essere ricoverato in condizioni gravi. Se noi lo affrontiamo prima arriviamo anche al 95 percento di persone che non devono arrivare in ospedale. Ovviamente il paziente a domicilio va seguito in modo costante e attento. Non va mai lasciato solo e qualora arrivasse un peggioramento il paziente andrebbe ricoverato ma in un ambiente che non sarà mai sovraffollato“.
“Questo virus ci ha colto un po’ di sorpresa, anche una regione d’eccellenza come la Lombardia aveva un territorio scoperto, quindi è stata presa di sorpresa e tante persone sono andate in regime di urgenza al DEA. Anche noi qui a Roma, pur in condizioni di emergenza non paragonabile, avevamo delle ambulanze fuori dal Policlinico Umberto I con il paziente che non poteva essere messo dentro, perché eravamo pieni. Immagino quanto abbiano sofferto i colleghi della Lombardia, che sono stati fin troppo bravi. Hanno dovuto affrontare una condizione difficilissima, sia in termini professionali che umani. Ora che la situazione si è un po’ decompressa dovremmo approntare una reazione diversa. Proprio perché la sanità italiana è una sanità regionale dobbiamo fare in modo che ci sia una strategia univoca. E la strategia vincente è quella sul territorio. Nella storia della medicina abbiamo tutti studiato che la pandemia e l’epidemia si sconfigge fuori dagli ospedali. Il virus dentro all’ospedale non ci deve arrivare. Il virus dentro all’ospedale è una bomba di contagio. Aumenta la diffusione nell’ambiente ospedaliero, si contagiano medici, infermieri, tutto il personale sanitario che sta svolgendo un ruolo veramente importante, in una condizione difficile. Pensate che gli infermieri quando indossano le tute lo fanno per sei ore continuativamente e non possono neanche sedersi, perché devono rimanere in piedi. E gli specializzandi anche vanno menzionati: stanno svolgendo un ruolo fondamentale. Sono dei ragazzi da ammirare per quello che fanno. Hanno scelto questa professione per darsi alle persone“.
Sulle polmoniti atipiche presenti in Italia già da dicembre: “Se c’è un nesso con il coronavirus? Assolutamente sì. E’ possibilissimo. Io credo che in Cina questa cosa sia iniziata attorno a ottobre. Questo virus è la parte diabolica della globalizzazione. Questo virus ha avuto modo di circolare e muoversi ampiamente. E quando ce ne siamo accorti forse già c’erano i primi segni. Io stesso ho visto broncopolmoniti che clinicamente erano tali, spesso con la radiologia convenzionale non venivano dimostrate, con la tac del torace ad alta risoluzione usciva fuori una polmonite interstiziale bilaterale con immagini tipiche di questo virus“.
Sulle mascherine: “Sono molto utili soprattutto nell’ambiente chiuso. All’aperto sono meno importanti. Se stiamo a due metri di distanza è improbabile che ci sia un contagio. Sono molto importanti anche gli occhiali. La prima porta di entrata del virus è l’occhio soprattutto in chi porta le lenti a contatto“.
Su luglio e agosto: “Con gli occhiali da sole saremo più protetti. In quei mesi comunque ci potrebbe essere una riduzione netta. Questo è un virus nuovo e va controllato passo passo. E’ molto importante che noi adesso lo controlliamo anche in termini scientifici. Gli anticorpi che stiamo valutando nella sierologia, gli anticorpi di protezione, sono molto importanti. Sembra quasi che chi ha una malattia più grave sviluppi più anticorpi. Si sta sviluppando probabilmente una immunità condivisa sociale che piano piano aumenterà. Certo, chi ci libererà completamente sarà il vaccino. C’è un test che ancora però non è uscito che è un test di neutralizzazione virale. Un test che ci dirà che tipo di immunità si potrà avere con questo virus. Se permanente o parziale“.