“La curva mostra che i sintomatici si riducono” e che “si riduce la quota dei pazienti critici” mentre “la letalità ci dice che le età più elevate sono a maggior rischio e la quota di donne è inferiore rispetto a quella dei maschi“: lo ha affermato il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro nella conferenza stampa odierna. “Sempre più si va a utilizzare i tamponi sul territorio intercettando precocemente persone con pochi sintomi, e aumentano i pazienti paucisintomatici a conferma di questo“. “Anche nelle aree con elevata circolazione la quota di letti in terapia intensiva non è totalmente saturata“.
“La situazione epidemiologica è nettamente migliorata“, ” il numero dei casi si sta riducendo dappertutto ma dobbiamo muoverci con grande cautela. È necessario accompagnare il monitoraggio alle misure di apertura. La situazione richiede grande attenzione“.
Se non venissero rispettate le misure di distanziamento sociale e si riaprisse il Paese senza cautela “l‘indice di contagiosità R 0 tornerebbe a salire sopra la soglia di 1 in due, massimo tre settimane“.
“Anche nelle zone a bassa circolazione del virus ci sono comunque dei focolai, come nel Lazio, in Calabria, in Sicilia: globalmente l’intensità di circolazione si è molto ridotta, ma rimane la circolazione del virus“.
“Questo è il motivo per cui anche quando parliamo di allentare alcune misure si esprime sempre la cautela e la necessità di muoversi passo passo, perché la situazione epidemiologica è nettamente migliorata ma non possiamo ignorare che il virus continua a circolare. Dobbiamo muoverci in maniera cauta, con misure progressive e con un continuo monitoraggio nel momento della riapertura perché la situazione è differenziata nel paese“.
Sono 106 i Comuni italiani dichiarati zona rossa per l’emergenza Coronavirus, ma molte zone rosse “sono in fase di esaurimento nella prossima settimana“, ha precisato Brusaferro.
“La gran parte delle infezioni si verificano fondamentalmente dove si concentrano sostanzialmente le persone anziane e i disabili, poi c’è il livello familiare, quindi le strutture sanitarie e il livello lavorativo“.
Su circa 4.500 casi di Covid notificati tra l’1 e il 23 aprile, il 44,1% delle infezioni si e’ verificato in una Rsa, il 24,7% in ambito familiare, il 10,8% in ospedale o ambulatorio e il 4,2% sul luogo di lavoro: è quanto emerso dai risultati preliminari di uno studio ISS sulle fonti di infezione in pieno lockdown.
L’indice Rt, che misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva, già dal 6 aprile si attestava mediamente a un valore tra 0,2 e 0,7, considerando l’intero Paese: lo dimostrano i modelli matematici elaborati dall’ISS e dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento, presentati durante la conferenza stampa. Questo indice rappresenta il numero medio delle infezioni prodotte da ciascun individuo infetto dopo l’applicazione delle misure di contenimento dell’epidemia stessa.
“Rt è solo uno degli indicatori che servono a definire i provvedimenti da adottare nella Fase 2. La differenza tra gli indici regionali non rappresenta necessariamente una condizione per differenziare le misure successive a questa fase. Il valore di Rt, che sarà pubblicato settimanalmente, rappresenta uno strumento importante per monitorare le misure di controllo nel tempo e la loro efficacia“.
“In Lombardia a fine gennaio – ha spiegato Stefano Merler della Fondazione Kessler – c’era qualche cluster di trasmissione, ma il grosso comincia verso l’11-12 febbraio e raggiunge Rt vicino a 3 gli ultimi giorni di febbraio, dopo il paziente 1. Il 24 zona rossa a Codogno, con una decrescita lineare dell’indice, ci siamo stabilizzati a 1,5 il 10 marzo, giorno del lockdown. Il 10 marzo quasi tutte le regioni avevano un indice tra 2 e 3, tranne Lombardia, Emilia e Veneto. Il 25 marzo R0 è sotto soglia (cioè sotto 1) in quasi tutte le Regioni. In due settimane quindi sono evidenti gli effetti del lockdown“. Nel dettaglio, considerando solo i valori medi, si va da un indice di 0,34 in Sicilia a 0,71 in Emilia Romagna. In Lombardia il valore è di 0,40, in Veneto di 0,61, nel Lazio 0,59.
“I dati dei contagi hanno dei tardi intrinseci, il ritardo tra l’insorgere dei sintomi e la diagnosi è di circa 5 giorni. Dalla diagnosi alla notifica passa un’altra settimana, un tampone positivo vuole dire che una persona si è ammalata da 5 a 22-23 giorni prima. Ma fa differenza sapere se sei stato infettato 3 o 23 giorni fa, peggio ancora i decessi, i morti arrivano con un ritardo di 20 giorni“: è quanto emerge dai modelli matematici elaborati dall’ISS e dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento.
“Da aprile aumenta il numero delle donne contagiate“. Quanto ai decessi “l’età media delle donne è più elevata, e si conferma il fatto che le donne muoiono meno rispetto ai maschi nel nostro Paese“. Brusaferro ha poi confermato che la media per età della letalità del virus nel nostro Paese si è attestata al 13,1% e che i più colpiti sono gli anziani: con il 30,8%, nella fascia di età tra gli 80 e gli 89 anni. Confermata anche la differenza di incidenza per sesso. Dagli studi fatti su un campione del 10% dei malati, infatti, la letalità si riscontra nelle donne di 84 anni mentre negli uomini questa scende a 79. Confermata anche l’incidenza della mortalità nei soggetti multi-patologici.
“È chiaro che un Paese non può reggere per più di due mesi in lockdown ma bisogna mantenere alta l’attenzione. Mantenere prima di tutto il distanziamento sociale“, ha affermato Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’ISS, alla conferenza stampa sull’andamento epidemiologico.